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Esclusiva

Gennaio 21 2020
L’Italia delle disuguaglianze. L’intervista all’economista Pietro Reichlin

Secondo Oxfam, in Italia la quota di ricchezza dell’1% più ricco supera quella detenuta dal 70% della popolazione più povera. Un ragazzo su tre guadagna meno di 800 euro al mese.

Le disuguaglianze mondiali sono in aumento. Lo afferma l’ultimo rapporto Oxfam relativo al 2019. Tutti i miliardari del mondo, 2.153 persone, vanterebbero nel complesso una ricchezza superiore a quella di 4.6 miliardi di persone. Non fa eccezione l’Italia, dove la ricchezza continua ad essere concentrata nelle mani di pochissimi. Non è un paese per giovani: un ragazzo su tre guadagna infatti meno di 800 euro al mese e il 13% versa in condizioni di povertà.

Abbiamo parlato dello scenario economico italiano con Pietro Reichlin, professore all’Università Luiss di Roma.

L’ultimo rapporto Oxfam fotografa per l’Italia una situazione non proprio rosea. Sono dati allarmanti?
Bisogna fare attenzione. Uno dei problemi di questi rapporti è che si basano sulla misurazione della ricchezza, più complicata da accertare. A volte abbiamo persone che appartengono in termini di fasce di reddito a classi più agiate ma nel momento in cui viene fatta la rilevazione risultano fortemente indebitate. Il debito significa ricchezza negativa e questo determina una fotografia della realtà non proprio fedele. Tra l’altro l’andamento della ricchezza riflette l’andamento dei prezzi degli asset. Per esempio, se c’è un aumento del prezzo delle case questo determina un aumento della ricchezza e viceversa. Tutto ciò può essere un fenomeno congiunturale che non necessariamente determina una variazione nella qualità della vita delle persone. Per questo io mi fido di più delle statistiche che si riferiscono ai redditi. Premesso ciò, non c’è dubbio che all’interno dei paesi avanzati ci sia stato un aumento delle disuguaglianze. In Italia per l’andamento dei redditi, c’è stato un aumento leggero della disuguaglianza per effetto della crisi economica che ha penalizzato le fasce di reddito più basse e gli immigrati. Tuttavia, su un quadro di lungo periodo non verifichiamo un aumento apprezzabile della disuguaglianza dalla fine degli anni ‘90 in poi. Certo bisogna considerare il periodo della crisi come un periodo di accentuazione delle disuguaglianze, ma si tratta di un fenomeno naturale quando c’è una recessione.

 

Secondo il rapporto un ragazzo su tre guadagna meno di 800 euro. Che politiche bisognerebbe attuare?
Certamente l’accesso al mercato del lavoro dei giovani è peggiorato nel tempo. I redditi che sono aumentati di più sono quelli dei pensionati. Questo peggioramento dipende da tanti fattori: le caratteristiche del mercato del lavoro; la rigidità nella progressione della carriera; i salari che tendono a salire con l’anzianità piuttosto che con le competenze. Questo comporta maggiori difficoltà per i giovani.
Bisognerebbe indirizzarsi verso un maggiore decentramento contrattuale, in modo che le aziende possano allineare i salari alla produttività delle persone. Quando i giovani sono più qualificati e competenti, il loro salario dovrebbe aumentare. Però ci sono tanti altri fenomeni da tenere in conto: il nostro sistema scolastico-educativo non funziona bene come negli altri paesi. Spesso quindi si accede al mercato del lavoro senza qualificazioni.
Adottare un salario minimo potrebbe lenire il problema degli stipendi bassi?
Per il salario minimo bisogna stare attenti: in Italia ci sono già dei minimi contrattuali nella contrattazione collettiva nazionale, rispettati costituzionalmente dalle imprese. Un aumento del salario minimo può essere positivo per alcuni ma esacerbare la disoccupazione soprattutto nelle zone più svantaggiate del paese.

 

Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, propone di istituire una pensione di garanzia per i giovani. È un provvedimento realizzabile?
La questione della pensione minima è molto controversa. Attualmente abbiamo un sistema pensionistico basato sul versamento dei contributi. Al contempo c’è un altro fenomeno: l’evasione contributiva. Molto spesso c’è un aumento dell’evasione perché la contribuzione è costosa. Se le persone possono ottenere una pensione a prescindere dai contributi versati, c’è il rischio di incoraggiare l’evasione.

 

Sarebbe anche molto oneroso per le tasche dello Stato?
Credo che la soluzione della pensione minima sia molto costosa e determini degli incentivi sbagliati. Bisogna incoraggiare i giovani a entrare nel mondo del lavoro prima e ad avere carriere più continue. Far migliorare il mercato del lavoro in modo che la contribuzione sia rafforzata piuttosto che indebolita. Certo, c’è il rischio che ci si ritrovi con pochi contributi versati e pensioni inadeguate. Se questo creerà delle difficoltà bisognerà intervenire con delle misure ad hoc di carattere sociale.

 

L’11,1% delle donne italiane non ha mai lavorato per occuparsi dei figli. Che bisogna fare?
Noi siamo il paese d’Europa in cui c’è la minore partecipazione femminile al mercato del lavoro. La ragione di questa scarsa partecipazione è che mancano i servizi, a cominciare dagli asili nido, oltre che esserci un problema culturale. Per le donne è difficile entrare nel mercato del lavoro.

 

Ha senso parlare di uno stipendio per le casalinghe?
Un salario per le casalinghe da una parte è positivo perché si riconosce il fatto che anche quando le donne non partecipano al mercato del lavoro non è detto che non lavorino. Questo potrebbe però determinare un ulteriore scoraggiamento, spingerebbe le donne ancora di più fuori dal mercato del lavoro. Se questo salario venisse approvato, dubito che possa essere adeguato, vista la scarsità di fondi a disposizione. Sarebbe una misura più simbolica che reale. Preferirei dunque cercare misure alternative che spingano le donne a occuparsi piuttosto che restare a casa.