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Esclusiva

Febbraio 27 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Marzo 16 2020
Coronavirus e quarantena, cronache fra Italia e Cina

Dalla Cina a Hong Kong al Veneto. Tre storie di ragazzi che sono entrati in contatto con il Coronavirus. Com’è stato vissuto il COVID-19 in Cina e cosa prova un Comune italiano di 16mila abitanti a risvegliarsi con il morbo venuto dall’Oriente

«Io vivo a Este, la città in cui c’è l’Ospedale in quarantena e a soli 6 km da Vo’ Euganeo». La città non è stata isolata ma Federico, come tutte le persone che sono passate da quell’edificio nelle due settimane scorse, è stato costretto a un regime di segregazione domestica e al test del tampone per il Coronavirus, risultato fortunatamente negativo. «Domani dovrò fare il secondo tampone, secondo i protocolli ufficiali della Regione. Speriamo bene».

La struttura incriminata, gli “Ospedali riuniti Padova Sud – Santa Madre Teresa di Calcutta”, è dove una delle vittime del virus è stata ricoverata per oltre due settimane senza che la sua condizione di infetto fosse accertata; il personale medico, constatato che l’anziano non rispondeva alle terapie classiche per i sintomi influenzali, ha scoperto (oltre a pregressi problemi respiratori) la presenza dell’infezione con un certo ritardo, costringendo la Regione a intraprendere misure drastiche. «Dopo il test si è scatenato il panico: la struttura è stata chiusa e per tutte le persone transitate nell’ospedale è scattata la quarantena in casa e l’obbligo di un doppio tampone, con un intervallo di due giorni fra un test e l’altro. Fanno almeno quattro giorni di quarantena».

Secondo quanto testimoniato da Federico, c’è stata grande confusione nella comunicazione delle procedure da parte dell’amministrazione regionale, sia nella spiegazione ai cittadini delle modalità della quarantena e dei test sia in termini di tempestività. «Ho scoperto solo oggi la storia del secondo tampone: dopo il primo test sono tranquillamente uscito a fare due passi per il paese – continua –, sabato e domenica non era stata data alcuna indicazione chiara sul come comportarsi, quindi pur con qualche preoccupazione la vita è continuata in modo normale, al netto dei divieti di eventi pubblici e manifestazioni. Le disposizioni sono arrivate soltanto lunedì». Esiste quindi la possibilità che una persona positiva al Coronavirus abbia liberamente girato per Este senza che nessuno lo sapesse, eventualità favorita dall’incertezza del momento e dal ritardo nell’imposizione delle procedure di emergenza.

Nonostante l’amministrazione locale non abbia indetto la quarantena nella cittadina, è come se la paura fosse riuscita a instaurarla: «qui nessuno esce di casa, sembra quasi la peste del ‘300: tutti si guardano da lontano in cagnesco come se il proprio vicino potesse essere l’untore», racconta ancora Federico. «Anche se non siamo ancora arrivati all’imposizione di posti di blocco militarizzati fuori dal paese come a Vo’, l’esercito fa le ronde per verificare che non ci siano troppi movimenti». Lo scenario descritto è quasi post apocalittico, con vicoli deserti e pattugliamenti a fare da sfondo alla paura di una minaccia tanto nuova quanto silenziosa e imprevedibile. Anche un gesto quotidiano come fare la spesa è diventato straodinario: «il primo giorno c’è stata una coda fino a oltre l’entrata del supermercato, alle dieci e mezza il negozio ha dovuto chiudere per fine inventario; ora la situazione in questo senso si sta normalizzando».

Pur non essendoci state a Este scene di panico come in altre città, per Federico lo scenario è destinato a peggiorare: «Le prime persone contagiate sono state individuate venerdì; dato l’enorme tempo trascorso fra il loro isolamento e l’introduzione delle nature straordinarie, è fortemente probabile che in quei giorni alcune persone positive al virus siano andate a lavoro o si siano liberamente spostate nei dintorni. Inoltre, il “paziente zero” a oggi non è ancora stato trovato, potrebbe essere dovunque».


Coronavirus Zona Rossa
L’ospedale in quarantena a Este. Photo credits: Zeta

Il corso di Laurea Magistrale in China & Global Studies dell’Università di Torino dà l’opportunità di ottenere un double degree con la Zhejiang University di Hangzhou grazie a un periodo di 6 mesi o un anno trascorso in quell’ateneo. Luca è uno dei ragazzi che avrebbe dovuto beneficiare di questa opportunità grazie a un periodo di studio in Cina dal settembre 2019 al luglio 2020 ma a causa del Coronavirus è stato costretto a tornare a casa a fine gennaio.

«La prima volta che ho sentito parlare del Coronavirus ero ancora in Cina ed è stato ai primi di gennaio. Purtroppo l’epidemia non poteva svilupparsi in un periodo peggiore; nella seconda metà di gennaio, infatti, si celebra il Capodanno cinese e molta gente viaggia e si sposta per il paese. Io stesso ho vissuto in prima persona gli spostamenti per il Capodanno perché durante questo periodo, a partire dall’11 gennaio, ho viaggiato in treno nella Cina interna e sono passato anche per Wuhan nel bel mezzo delle notizie che arrivavano riguardo questa “strana” polmonite originatasi in un mercato». Luca racconta di come la situazione sia diventata davvero preoccupante mentre era a Kunming nello Yunnan. Mentre era lì infatti ha sentito della quarantena a Wuhan e dell’allerta massima e che poi la quarantena era stata estesa alle città vicine con posti di blocco, divieto di entrata e uscita e supermercati svuotati. «Non nego che io e i miei amici eravamo in ansia perchè era anche uscita la notizia che il virus era asintomatico. Per cui abbiamo deciso a malincuore di interrompere il viaggio e tornare nel nostro campus».

Il 28 gennaio Luca riceve la telefonata del suo tutor che lo informava del fatto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva dichiarato il pericolo moderato internazionale. I ragazzi sono stati sollecitati a tornare a casa visto che, qualora l’epidemia fosse diventata globale, avrebbero chiuso i voli diretti con l’Italia e sarebbero rimasti bloccati in Cina. Riguardo al suo viaggio di ritorno in Italia, Luca ricorda come abbia cercato di seguire le linee guida dettate dall’OMS per prevenire la diffusione del COVID-19, ad esempio, indossando una mascherina, visto che proveniva da una zona ad alto rischio. Una volta arrivato all’aeroporto di Venezia, tuttavia, non ha subito alcun controllo a differenza dei voli diretti provenienti dalla Cina i cui passeggeri venivano invece attentamente controllati. Infine, di ritorno a casa, si è autoimposto, d’accordo con il suo medico di base, una quarantena di 14 giorni per assicurarsi di non essere infetto: «È stato uno scrupolo ulteriore che però ho deciso di impormi sapendo che il virus poteva essere asintomatico»

Del periodo che ha vissuto in Cina con il Coronavirus Luca ricorda come i controlli fossero molto serrati con posti di blocco, controlli della temperatura nei luoghi di transito e sanificazione dei mezzi pubblici: «I cinesi erano preoccupati e c’è stato l’assalto a supermercati e farmacie però in realtà non ho mai visto scene di panico in nessuna delle città in cui ho viaggiato. Ho notato preoccupazione, ma sempre autocontrollo. C’era grande gentilezza di fondo e una tendenza ad aiutarsi nelle difficoltà, in più i cinesi sono ciecamente fiduciosi nello Stato». Luca invece quando è tornato nel suo paese ha trovato un clima cambiato con una sempre più pronunciata “sinofobia”. «Il razzismo attraversa i continenti – dice – però l’Italia sta esagerando».


«La situazione ora è tranquilla, ci sono stati una settantina di casi. Tuttavia, a fine gennaio, quando è trapelata la notizia del virus, c’è stato il panico generale». Così invece parla Fabio, studente italiano a Hong Kong, che racconta come la situazione nella città sia grave ma stabile. I settanti casi di cui si ha conoscenza sono sicuramente il frutto delle politiche messe in atto dal governo: scuole e università sono chiuse da inizio febbraio, gli uffici sono stati chiusi per un periodo e sono stati annullati tutti gli eventi culturali e i festival, fiore all’occhiello della città. Un aspetto particolare però della situazione a Hong Kong sono state le critiche rivolte dalla cittadinanza al governo locale perché non voleva chiudere le frontiere e di fatto non le ha chiuse, ha solo limitato i transiti. «Se volessi andare in Cina in questo momento potrei andarci. Ma queste tensioni sono comunque gli strascichi delle proteste dell’anno scorso iniziate con l’Extradition Bill».

Per quanto riguarda l’Italia: «Il fatto che più mi colpisce è che dopo Cina e Corea del Sud siamo il terzo paese con il maggior numero di casi, non sono un medico e non spetta a me spiegare le ragioni di questa cosa, però mi fa molto riflettere».