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Esclusiva

Marzo 23 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Marzo 26 2020
Super Arbasino

Intellettuale, satirico, avanguardista, espressionista, snob, Pop. Ci ha lasciati all’età di 90 anni, dopo una lunga malattia, Alberto Arbasino, uno dei più grandi scrittori italiani del Novecento

«Pasolini? Mi pare fosse il 1956, gli avevo mandato dei versi che avrebbe dovuto pubblicare su Officina, una rivista fatta da lui e Leonetti dove si pubblicavano in prevalenza cose sperimentali. Lui ricordo mi diede appuntamento sotto il Ponte Sant’Angelo, ai famosi bagni del Ciriola». Un ventenne Arbasino freme dalla voglia di incontrare Pasolini, che gli dà appuntamento presso dei bagni pubblici sul Tevere, posto inedito per un primo incontro fra intellettuali. Pasolini si presenta all’incontro, come il luogo suggerisce, in costume da bagno, Arbasino in grisaglie e cravatta regimental.  

«Reagii interpretando la parte del vecchio gentleman arrivato dal Nord Europa che a Copenaghen o a Amsterdam ne aveva viste ben altre. Mi sembra che non gradì particolarmente quel gioco vagamente internazionale». 

Sta tutta qui, condensata, la figura di Alberto Arbasino. Elegantissimo, avanguardista ma mai estremista, un eccentrico nella sua moderazione. Moderato negli anni della Contestazione, a cavallo tra Sessanta e Settanta, in cui i pantaloni erano a zampa e l’intera classe intellettuale italiana era dichiaratamente di sinistra. Salvo i vezzi liberal di Flaiano era lui il vero moderato, eletto anche tra le file del PRI negli anni Ottanta. Quando andavano a mangiare da Cesaretto, a Via della Croce, che allora era leggenda, non sfigurava mai, tra i vari Commisso, Soldati o gli elegantissimi Sandro Viola e Giovanni Urbani. Anche riguardando foto d’archivio, non si ha memoria di lui senza il nodo alla cravatta. 

Scrittore, giornalista, storico curatore della rubrica teatrale di Repubblica, critico letterario, poeta. È lui l’intellettuale dietro La bella di Lodi e Fratelli d’Italia, suo romanzo principe che ha come trama il viaggio di una coppia di due giovani, ma come in molti casi in Arbasino la trama è solo un pretesto, pretesto per raccontare l’Italia dell’epoca con la sua inconfondibile irriverenza, e un umorismo tanto distaccato quanto autentico e che parla di quella Roma della cafè society, quando sapeva ancora essere una capitale cosmopolita in cui passavano e le donne «erano molto più belle e più intelligenti e spiritose e anche più alte degli uomini corrispondenti». 

Super Arbasino
Con Isabella Rossellini – © Archivio Pizzi

Eccentrico e moderato anche nell’identità letteraria, trova spazio nel Gruppo 63, con Eco e Sanguineti, tra i fondatori. Uno spazio suo e solo suo. Riesce infatti a non tradire senza ritorno la tradizione romanzesca e a non farsi portavoce di quei punti programmatici che all’avanguardia hanno ritagliato i contorni. Sempre fedele alle più diverse facce di sé stesso, ha camminato sempre in evoluzione, impegnato in un costante labor limae, sempre attento al tempo che cambia, con l’arma che meglio sapeva maneggiare: il linguaggio. La stessa arma di uno dei suoi autori preferiti Carlo Emilio Gadda, presente tra richiami più o meno puntuali in tutta la sua produzione. 

Autore italiano di vero respiro internazionale e di cultura europea, con «una notevole capacità di imitare gli stili, nel pastiche, e una grande ironia intrinsecamente critica», dice di lui Francesco Muzzioli, critico letterario esperto di autori del Novecento e soprattutto delle linee di ricerca dell’avanguardia, a cui ha dedicato diversi volumi, tra i quali proprio Gruppo 63, Istruzioni per la lettura. «Ha affrontato il romanzo fuori dei canoni nazionali per giungere al romanzo-pop in una felice sarabanda delle contaminazioni culturali». 

Quell’ironia dissacrante che gli ha permesso di inserire nel romanzo Super-Eliogabalo (1969) il cane a sei zampe, simbolo dell’Eni, in una scena di pastorizia. Un’avanguardia tutta sua che sceglie un protagonista tra le file degli altolocati (un imperatore) e non degli ultimi – come spesso nella scrittura avanguardistica coeva – e che erode dall’interno gli stessi meccanismi a cui si oppone. 

Un’avanguardia che ha come argomento la Storia con la S maiuscola ma che la contamina col basso quotidiano, per questo il lascivo Eliogabalo è un Super-imperatore. Il prefisso intensifica un personaggio già esagerato e, appunto, lo super-a. Un romanzo che è quindi oltre la magniloquenza della Storia, ma è nella contaminazione della storia, come il suo autore, militante contro la miopia del conformismo. Arbasino è oggi Super Arbasino perché ha attraversato il Novecento, lasciando orme indelebili del suo passaggio. 

Capace di invenzioni narrative tra le più assurde, come la Casalinga di Voghera, espressione idiomatica di cui ha sempre rivendicato la paternità. Nel 1966 il Servizio Opinioni della Rai avvia un’inchiesta per accertare quante parole, tra quelle usate nelle trasmissioni di attualità politica, fossero davvero comprensibili all’italiano medio. Vengono realizzate varie interviste in giro per la penisola, dove si chiedeva agli intervistati di dare la definizione di parole come “scrutinio” o “leader”. Il gruppo che, fra quelli presi campione dall’inchiesta, dimostrò il tasso di comprensione meno elevato fu proprio quello della provincia di Voghera, nel pavese. Lo scrittore, che usava l’espressione nei suoi articoli di critica letteraria, disse di riferirsi alle sue zie vogheresi con un solido buon senso lùmbard, virtù che molti connazionali, a suo parere, non avevano. Ma della sua città natale disse pure questo: «Il male di vivere lo incontravo a Voghera, ma non lo salutavo». Odi et amo. D’altronde una delle sue citazioni più famose rimane sempre «Nato a Voghera nel ‘30, rinato a Roma nel ‘57».   

Super Arbasino
Con Gore Vidal e Italo Calvino – © Archivio Pizzi

È così la sua avanguardia, l’avanguardia della leggerezza e del “low-profile”, espressione da lui scelta quasi come parola d’ordine. Diceva che per scoprire la leggerezza non aveva dovuto aspettare Italo Calvino e aggiungeva «Prima di lui se si era sospettati, anche giustamente, di leggerezza si veniva biasimati molto: poi è arrivato e in un colpo solo l’ha redenta, come per magia». Ma ci teneva a precisare come la “leggerezza calviniana” fosse «un pesante equivoco del nostro tempo. Italo Calvino non era affatto leggero. Era molto serio, laborioso, parsimonioso, industrioso, assorto, concentrato, moderato, indaffarato, calcolatore, misuratore, come tutti i migliori liguri». Teoria della leggerezza che in gran parte viene dalle Lezioni Americane, pubblicato postumo nel 1988, in cui Calvino citava l’importanza di essere leggeri ma «come la rondine, non come la piuma». Ma come avviene sempre nel mondo della comunicazione e dei media, la semplificazione prevale e schiaccia tutto, la stessa legge universale per cui l’immagine più ricordata di Albert Einstein è quella con la linguaccia. 

Arbasino, perentorio, ebbe un giorno una fortunata intuizione: «In Italia c’è un momento stregato in cui si passa dalla categoria di brillante promessa a quella di solito stronzo. Soltanto a pochi fortunati l’età concede poi di accedere alla dignità di venerato maestro». Proprio lui, uno dei pochi, che venerato maestro lo era già in vita.