Vincere sull’attesa e superare una notte che diventa sempre più lunga. Questa la sfida per tutte le attività tenute chiuse dal coronavirus. Ma alla fine di questa crisi molti spazi culturali potrebbero non arrivarci e per alcune associazioni e librerie la serrata potrebbe essere definitiva. Il mondo della cultura rischia lo schianto.
Il 26 marzo Tonino Tosto, direttore artistico del Teatro Porta Portese, affida timori e proposte a un appello rivolto alla stampa. «Evitiamo la chiusura del Teatro Porta Portese e di altri spazi culturali» perché «le attività sono ferme, ma i costi corrono». La maggior parte dei teatri e luoghi di aggregazione culturale «hanno un numero di spettatori e partecipanti agli eventi ristretto e modesto. Quindi, per sostenere affitti e utenze, contano ogni mese sulle quote degli iscritti».
La proposta è quella di «uno stanziamento straordinario a fondo perduto per il 2020 al quale le associazioni culturali, le imprese sociali, le cooperative potranno accedere, dimostrando naturalmente le loro attività. Questo contributo occorrerà a coprire i costi di affitti, utenze e altre spese relative al mantenimento e al rilancio dell’attività».
A differenza del teatro, o del cinema, la situazione per l’editoria è drammatica, perché questo settore non usufruisce di sovvenzioni statali ma vive sul mercato. Le librerie si sono organizzate per le consegne a domicilio, ma eventi e presentazioni sono annullati e slittano le uscite delle novità. La vendita online non riesce ad assorbire le perdite.
Il calo delle vendite è inevitabile: sono in corso le rilevazioni dell’Osservatorio dell’Associazione Italiana Editori (AIE) sull’impatto che il covid-19 avrà quest’anno sul mondo del libro e vengono aggiornate ogni settimana. Nel 2020 saranno 23.200 i titoli in meno, su una base che di solito si aggira attorno all’uscita di 65.000 titoli all’anno, e 45 milioni in meno le copie stampate. I dati del mercato (librerie, e-commerce e grande distribuzione) registrano il -75% nel valore delle vendite.
Seguendo i dati dell’Osservatorio dell’AIE, il 30 marzo il 64% degli editori (con un aumento del 3% dalla settimana precedente) dichiara che ha avviato le procedure per la cassa integrazione o che la sta programmando. Quasi la totalità degli editori, il 98%, valuta il danno come significativo o drammatico per l’intera filiera.
Nel decreto Cura Italia la parola libro non c’è e non ci sono provvedimenti mirati in soccorso delle associazioni culturali. Tonino Tosto conclude il suo appello sottolineando come «Il welfare sociale che esse (le realtà culturali ndr) rappresentano deve essere riconosciuto, aiutato e valorizzato oggi prima che sia troppo tardi».
Nicola Lagioia, scrittore e direttore del Salone Internazionale del Libro di Torino dal 2016 riflette su possibili strade da intraprendere per recuperare. «Bisognerebbe aprire un tavolo ministeriale a cui invitare i rappresentanti di tutta la filiera del libro. Quello del libro è un settore fondamentale (per numero di occupati, per volume d’affari, per rilevanza culturale, per come il libro contribuisce alla vita democratica) che peròin questo momento è totalmente abbandonato a sé stesso. Tra i diversi piani governativi che mi auguro si stiano mettendo a punto per i vari settori bloccati dal coronavirus, dovrebbe essercene uno espressamente dedicato al mondo del libro».
Lo stesso Salone del Libro è stato rimandato, ma «continua la sua attività culturale, svolgendo attività didattica (a distanza) con le scuole, così come potremmo mettere a punto masterclass o lezioni da mandare on line. Ovviamente, però, trattandosi di una fiera editoriale, c’è bisogno di capire quando si potrà rimettere in piedi l’attività principale. Fino a quando non decadranno i decreti sulla “chiusura totale” e le istituzioni governative non indicheranno, in modo chiaro, una road map da seguire, è difficile per noi poter dare una data precisa per la ripresa normale dei lavori».
«Speriamo si sappia tutto al più presto, ma sono anche consapevole che per le stesse istituzioni governative non è facile: il funzionamento del virus è in buona parte ancora sconosciuto persino agli scienziati, quindi è complicato fare previsioni. Il mio augurio è che nelle prossime settimane tutto diventi via via più chiaro».
Il Covid-19 inoltre arriva inoltre in un momento già delicato per il settore librario. Sul primo numero del nostro periodico l’indagine sulla massiccia chiusura delle librerie italiane degli ultimi anni (a Roma in dieci anni hanno chiuso 223 punti vendita) si concludeva con un riferimento alla “legge sul libro” ferma in Senato dall’estate scorsa.
Dopo aver diviso in due gli editori tra favorevoli e contrari, la legge che riduce gli sconti massimi applicabili sui libri ha invece unito i senatori e votata all’unanimità è approvata il 5 febbraio. Entra quindi in vigore il 25 marzo, in piena emergenza coronavirus, mentre le serrande dei negozi italiani sono chiuse già da tre settimane.
Anche il momento di svolta istituzionale e legislativa verso un modello di editoria, ad esempio quello tedesco e francese, che non implica una politica assistenziale dello Stato, ma una cornice normativa in grado di difendere la filiera del libro e di promuovere la lettura, dovrà attendere la fine della pandemia. E vincere su un’attesa e una notte che diventa sempre più lunga.