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Esclusiva

Aprile 15 2020
Il Data Journalism al servizio di Google

In diretta su Youtube i corsi da remoto Google News Lab. Zeta vi svela le tecniche del Data Journalism

 “Il segnale è la verità. Il rumore è ciò che ci distrae dalla verità” scrive nel suo libro Il segnale e il rumore Nate Silver, statistico americano noto per aver azzeccato i risultati di numerose elezioni americane. “Segnale” sono i dati, le informazioni autentiche, “Rumore” è la disinformazione che disorienta.

Per combattere la disinformazione e grazie a giornalisti più preparati nascono i corsi di Google News Lab. Rivolti per lo più a reporter e scienziati, ma aperti a chiunque voglia impossessarsi degli strumenti digitali utili a trovare, verificare e raccontare notizie, le videolezioni si svolgono in live streaming sul canale Youtube di Google News Initiative, sono gratuite e tenute in più lingue. La redazione di Zeta ha partecipato all’appuntamento di giovedì 9 aprile, incentrato sulla ricerca e sulla visualizzazione di dati online.

«Il Data Journalism è lavoro di artigianato» spiega Clara Attene, docente con il titolo di Google News Lab Teaching Fellow, «anche se i dati e le piattaforme usate per la loro elaborazione sono gli stessi, ciascuna infografica non sarà mai uguale alle altre. Il risultato è sempre personalizzato”.

Il Data Journalism al servizio di Google
Un estratto della videolezione. La grafica (originariamente in movimento) rappresenta il numero di bottigliette d’acqua vendute in tutto il mondo con lo scorrere del tempo

I giornalisti di dati, da anni ormai sempre più importanti nelle redazioni, ne hanno consapevolezza, l’impatto visivo accattiva i lettori. Le grafiche possono semplificare argomenti, altrimenti difficili da comprendere per il pubblico generale.

Il Data Journalism al servizio di Google
Questa grafica realizzata dal Google News Lab cambia la dimensione degli oggetti all’interno della casa in base alla quantità di ricerche effettuate online nei diversi Paesi su come riparare ogni oggetto. La grandezza di ciascun oggetto appare proporzionale al numero di ricerche effettuate online

Partiamo dunque dalla ricerca dei dati. Strumento utile è Dataset Search, motore di ricerca Google che permette, dal 2018, di trovare set di dati disponibili su ogni tema.

Altro strumento è Google Trends, che permette di conoscere la frequenza con cui vengono fatte ricerche su specifiche parole sul web. I trends, cioè le ricerche correnti di massa, sono evidenziati da grafici, che ne sintetizzano la popolarità nel corso del tempo. È possibile inoltre applicare filtri geografici e temporali per cercare risultati in precise aree del mondo e in determinati archi di tempo.

Il Data Journalism al servizio di Google
Questa grafica rappresenta i luoghi in cui sono avvenuti incidenti stradali nella città di Bergamo anno per anno

I dati sono a disposizione di studiosi come Silver o del comune cittadino online. Ruolo del giornalista è fungere da interprete e divulgatore.

In questo senso, raccomanda Clara Attene, Flourish dà una mano. È fra i software più efficienti, gratuito e accessibile per molte sue funzionalità. Permette una visualizzazione corretta e fruibile del set di dati raccolto. Il sito promette “storytelling belli, facili e potenti”, ed ha sviluppato mappe, grafici e programmi redazionali sull’emergenza sanitaria da Covid19.

Il Data Journalism al servizio di Google

Prossima lezione di formazione Google News Lab

Trasformare fogli di calcolo in “straordinarie carte online, mappe e storie interattive” è un’esigenza che Flourish soddisfa bene. Il software è personalizzabile, con ampio potenziale di alternative. Spiega Attene che, una volta create, le mappe possono essere scaricate o presentate online, senza dover installare il programma sul proprio pc. Un “semplice” foglio di calcolo Excel può essere trasformato in storytelling attraverso presentazioni interattive. Una volta finito il lavoro, c’è la possibilità per l’utente di incorporarlo nel proprio sito web.

I dati hanno una duplice valenza, predittiva e descrittiva. Ci spiegano il mondo, e possono predirne gli esiti. Adoperarli per descrivere e narrare scientificamente i fenomeni, consapevoli di come la realtà possa influenzare l’avvenire, sembra meno affascinante di un’analisi predittiva, ma è più sicuro e permette una partenza solida. I dati, da soli, non sono “la verità”, ma incoraggiano, sorreggono o smentiscono quello che un tempo si chiamava “il fiuto del reporter”.

Seth Stephens-Davidowitz, studioso americano autore del libro “La macchina della verità”, invita dunque a stare alla larga da quella che chiama “trappola cognitiva”: esagerare l’importanza della propria esperienza, nel leggere i dati. «Per far funzionare meglio i big data è necessario un ingrediente speciale: il buon senso e le indagini a spettro ridotto, che potremmo chiamare “small data” e che hanno la funzione di riempire le falle dell’enorme vasca dei dati» assicura Davidowitz e su questo equilibrio tra senso comune e potenza degli algoritmi fiorirà il nuovo giornalismo.