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Esclusiva

Maggio 1 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Maggio 2 2020
Emanuela, 17 anni, prima donna vittima di mafia. Correva l’anno 1896

Vittima collaterale di una ritorsione, morì nella bettola di famiglia alla periferia di Palermo. La madre, sopravvissuta all’attentato, collaborò con la giustizia per far arrestare gli omicidi di sua figlia

Erano le otto di sera quando Emanuela Sansone morì. Lei, prima donna assassinata da Cosa nostra a soli 17 anni. Come molti personaggi della storia minore, di lei si sa poco. Certo è che morì quel 27 dicembre 1896 nella bettola gestita dalla madre, Giovanna Di Sano. Doveva essere lei il bersaglio. 

Il suo nome compare nel carteggio prodotto dal questore di Palermo Ermanno Sangiorgi, in carica dal 1898. Già questore di Bologna per mandato del governo Crispi, che lo volle nel capoluogo emiliano a contrasto degli anarchici, i suoi metodi zelanti gli valsero il compito di combattere la mafia in Sicilia. 
È nel suo Rapporto, tra i più importanti documenti sulla mafia dell’epoca, che Sangiorgi racconta la vicenda di Emanuela Sansone. 


Due settimane prima che venisse uccisa, i carabinieri irrompono in un conio di monete false gestito dalle famiglie mafiose in via S.Polo – Sampolo, stando all’odonomastica odierna – in quella che era la periferia cittadina divenuta oggi quartiere residenziale. Dopo il sequestro, i mafiosi cominciano a cercare il responsabile della soffiata. 


Lo trovano in Giovanna Di Sano, bettoliera e merciaia il cui negozio era poco lontano dalla fabbrica mafiosa. «Per quanto erroneo fosse stato questo sospetto – scrive Sangiorgi nel suo rapporto –  aveva molta apparenza di verità, giacchè il torchio per la coniazione delle false monete fu impiantato, forse inconsciamente, dal cognato della detta donna». Per questo motivo, «La mafia arguì che la Di Sacco – così viene riportato il cognome da Sangiorgi – saputa per tal mezzo la cosa, ne avesse fatto confidenziale rivelazione ai Reali Carabinieri, che nella sua bottega si forniscono di vino e commestibili ed il di cui Comandante si diceva amoreggiasse con Emmannuella Sansone, figlia della Di Sacco». Inoltre, a confermare il sospetto, «La Di Sacco aveva rifiutato biglietti e moneta falsa che le famiglie dei falsari avevano tentato di spendere nella sua bottega, esprimendone risentimento». 
Una riunione del gruppo Falde, il mandamento mafioso cui via S.Polo faceva capo, ordinò la morte della donna. 

Emanuela, 17 anni, prima donna vittima di mafia. Correva l’anno 1896
Cronaca dell’omicidio pubblicata dal Giornale di Sicilia il 29 dicembre 1896


L’omicidio avvenne quindici giorni dopo. I mafiosi praticarono un foro nel muro di cinta del negozio di Giovanna Di Sano e da lì spararono due colpi di fucile, ferendo lei e uccidendo la figlia. La cronaca del Giornale di Sicilia di allora offre una più colorita versione dei fatti: «La Emanuela Sansone, a tre quattro passi da sua madre, vicina a un tavolo scherzava allegramente con i suoi fratellini. In questo mentre si udivano due forti detonazioni, quasi simultanee». 


Un omicidio, quello della Sansone, che rompe il cliché della mafia come organizzazione criminale foriera di nobili valori: «La buona vecchia mafia – spiega Vittorio Coco, docente di Storia delle mafie presso l’Università di Palermo – quella che considera intoccabili donne i bambini, non è mai esistita. È un’autorappresentazione antica, che affonda le proprie radici già a fine Ottocento. Un modo per vestire un abito onorato e rispettabile. Sono molti gli omicidi di bambini documentati nel corso degli anni Venti del Novecento. Una riprova del fatto che mafia come società antica e onorevole fosse solo una finzione».

Dei due esecutori materiali del delitto Sansone, Giuseppe Buscemi e Vincenzo D’Alba, solo il secondo fu condannato. I mandanti, per quanto noti, non furono toccati.
Quanto a Giuseppa Di Sano, quel che accadde dopo l’omicidio di sua figlia lo racconta lei stessa durante la sua collaborazione con la polizia, come testimoniato dagli allegati alle relazioni di Sangiorgi: «E quasi che io fossi la colpevole – mette a verbale la donna – mi son veduta da allora mal vista e sfuggita da tutti, tanto che sono assai pochi coloro che vengono a fare acquisti nel mio negozio, restringendosi il loro numero agli onesti, che non sentono le influenze della mafia; sicché al danno sofferto, in conseguenza del disastro che mi colpì, e per cui dovetti sostenere ingenti spese, ed alla piaga insanabile che mi produsse nel cuore la disgraziata morte della diciottenne mia figliuola, si aggiunge ora il danno economico prodottomi dalle persecuzioni della mafia, che non mi perdona mai una colpa che io mai commisi».

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