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Esclusiva

Maggio 1 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Maggio 2 2020
Paola e Angelica, vittime della vendetta del boss

L’amante del boss della sacra corona unita morta nel 1991 insieme a sua figlia, in uno degli omicidi più brutali avvenuti in Italia

«Paola è stata una vittima, come tanti giovani in quegli anni, finita nella trappola dell’eroina. Dalla quale non è riuscita a uscire. Il traffico di sostanze stupefacenti era gestito dalla criminalità organizzata salentina e per avere la sua dose probabilmente Paola si era legata ad alcuni uomini del clan. Una giovane donna troppo debole per affrontare tutto questo, alla quale non sappiamo se qualcuno avesse mai teso una mano per essere aiutata» così Daniela Marcone, responsabile del progetto “Vivi” (un elenco di nomi delle vittime innocenti delle cosche) di Libera e vicepresidente dell’associazione contro le mafie, spiega la vicenda di Paola Rizzello e Angelica Pirtoli, madre e figlia, uccise il 20 marzo 1991 nelle campagne salentine nel comune di Matino.

Per la sacra corona unita, organizzazione criminale pugliese, la giovane ventisettenne tossicodipendente sapeva troppe cose.

Paola era l’amante del boss Luigi Giannelli, sposato con Anna De Matteis, nominata “Morte”. La moglie del boss odiava la ragazza a tal punto da picchiarla al mercato davanti a tutti, nonostante Paola avesse anche una relazione con il braccio destro della cosca, Donato Mercuri. La gelosia di “Anna Morte” e le possibili conoscenze della giovane spingono don Giannelli a ordinare dal carcere l’uccisione della sua amante.

La sera del 20 marzo Paola insieme alla figlia Angelica cadono nella trappola del boss. I due sicari Biagio Toma e il cognato Luigi De Matteis le portano in un casolare per far provare alla ventisettenne una nuova partita di droga. Paola non ha paura, si fida, è quasi spavalda, tanto che quando De Matteis le punta un fucile lo scansa senza preoccuparsi di quello che sta per accadere. Pensa a uno scherzo, ma un proiettile le colpisce l’addome. Paola cade con in braccio la piccola Angelica, che viene ferita al piede. Parte un secondo colpo che colpisce la giovane donna tra il petto e il collo, togliendole la vita.

La bimba di due anni piange e viene lasciata lì da sola accanto al corpo della mamma. Angelica urla e le sue grida l’avrebbero potuta salvare se Toma e De Matteis, dopo un’ora e mezza, non fossero tornati per finire il lavoro. Donato Mercuri, luogotenente del boss, ha deciso che Angelica non può vivere: «Se trovano la bambina in quelle condizioni, automaticamente si capisce che alla madre è successo qualcosa di brutto. No la bambina non si può lasciare. Voi sapete che cosa dovete fare».

Toma questa volta non prende il fucile, afferra il piede della bambina, la scaraventa al muro cinque, sei volte finché non smette di piangere, di vivere.

«L’omicidio della bambina è stato uno dei più cruenti della storia della criminalità organizzata. Non perché la mafia non uccida bambini, perché purtroppo tanti sono i minori uccisi dalle cosche, ma per le modalità in cui avvenne. Una barbarie», spiega Daniela Marcone.

Paola viene gettata in una cisterna sotto al casolare e Angelica viene messa in un sacco di juta sotto un pino sulla collina di Sant’Euleterio.

Passano sei anni e il corpo dell’amante del boss viene ritrovato, mentre per la piccola bisognerà aspettare il 5 maggio 1999 perché si scavi sotto l’albero. Decisivo è stato De Matteis, che ha permesso il ritrovamento del corpo della bimba, dichiarando durante la sua prima deposizione: «Nnu ‘sta la facia chiui iou cu tegnu ‘nnu segreto del genere dentro» (“non ne posso più di tenere dentro un segreto del genere”).

Diciassette anni dopo Toma viene accusato dal cognato come il vero esecutore della morte di Angelica. Nel 2001 la Corte d’Assise di Lecce ha condannato all’ergastolo Luigi Giannelli, Anna De Matteis e Donato Mercuri.

Paola e Angelica sono state due vittime della sacra corona unita, un’organizzazione criminale più giovane rispetto a mafia, camorra e ‘ndrangheta, ma sempre brutale e inumana. L’amore della giovane ventisettenne, il suo sapere troppe cose, l’hanno portata alla morte e insieme a lei la mano mafiosa ha decretato la fine della figlia di due anni. Oggi vivono entrambe in uno stesso ricordo contro le cosche: «la storia di Angelica è indissolubilmente legata alla vita della madre. Non si può raccontare di Angelica senza parlare di Paola».

La piccola viene ricordata nel progetto “Vivi” di Libera e il 21 marzo, Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, il suo nome viene letto insieme agli oltre 1000 nomi di chi ha perso la vita a causa della criminalità organizzata. «Raccontare la storia di Angelica ci permette di non far cadere nell’oblio questa vicenda, di restituirle la dignità del suo nome e di una vita che sarebbe potuta crescere e diventare altro, per ricordare a tutti che le mafie non hanno pietà e si nutrono di morte e violenza».

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