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Esclusiva

Giugno 12 2020
Roma-Lecce, diario di un viaggio in Flixbus

578 chilometri in pullman, il racconto di un viaggio che parte da Roma e fa capolinea in Salento ai tempi del Covid-19

Passi cadenzati, il Flixbus parte tra quarantacinque minuti, non c’è fretta. Piove a gocce piccole ma battenti. La mascherina schiaccia naso e bocca, le rotelle del trolley stridono sul marciapiede. Cappuccio calato in testa e di corsa fino a raggiungere la tettoia. La vecchia sopraelevata non c’è più, al suo posto una zona recintata e una piccola gru. C’è gente, se non fosse per le mascherine il lockdown sembrerebbe ormai non essere esistito.

Roma-Lecce, diario di un viaggio in Flixbus

Occhi che guardano in basso quando l’addetto alla sicurezza misura la temperatura, la pistola puntata al centro della fronte: «puoi andare», sospiro di sollievo. Il piazzale dei pullman è affollato, sul pavimento i bollini gialli con due piedi stilizzati disegnati all’interno, uno a un metro di distanza dall’altro. Le persone sono sedute sulle panchine davanti alle insegne di bar e tabacchi, molti fumano una sigaretta. 16:27, il cielo resta gonfio di pioggia e il Flixbus non arriva. Avrebbe dovuto sbucare da via Tiburtina dodici minuti fa.

Stallo 12 A, Flixbus Roma-Lecce, partenza prevista alle 16:30. Sono le 16:32, i passeggeri salgono sul pullman per Chieti e su quello per Bari, ma del numero 570 non c’è ancora traccia. Alcuni ragazzi chiacchierano con le gambe poggiate sui borsoni, una donna nel suo vestito colorato attraversa il piazzale di sosta più volte per chiedere informazioni. Ora piove forte, a scrosci, quando il sospirato bus verde e arancione con sul parabrezza la scritta “Roma-Lecce” arriva nello spiazzo.

A sinistra le valigie di chi scende a Taranto, a destra quelle dei viaggiatori fin giù in Salento. In fila per mostrare il biglietto e rimisurare la temperatura, «scosta un po’ il cappuccio per favore. Grazie, ora puoi andare.» È una contraddizione lasciare prima i bagagli e poi sottoporsi al controllo della febbre, ma l’autista bofonchia: «eseguo le direttive.»

Si entra dalle scalette laterali, a lato un cartello con le norme igieniche e il dispenser di disinfettante per le mani. Ci si siede un posto sì e uno no, anche chi arriva in coppia viaggia separato. Il Flixbus parte alle 16:56, ventisei minuti di ritardo che faranno slittare la tappa finale- Lecce con le sue chiese barocche- a dopo la mezzanotte. In direzione Napoli allo svincolo per l’A24, il sole fa capolino e la mente vola alle spiagge chiare del Salento. Nelle cuffie il roco Battiato, «cuccurucucù paloma, ahia-ia-ia-iai cantava.»

Roma-Lecce, diario di un viaggio in Flixbus

«Scendo dopo mesi, l’ultima volta è stata a Natale. Rimarrò fino a settembre, la metro e gli autobus di Roma non mi mancheranno» dice Antonio, che vive nella capitale ma è originario di Gagliano del Capo, un paese a circa 60 chilometri da Lecce. Dagli ultimi posti qualcuno parla al telefono: «si mamma ho mangiato, non ti preoccupare. Dì allu Donato ca ne santimu crai cu ne piamu lu café.» (Dì a Donato che ci sentiamo domani per prendere il caffè).

Roma-Lecce, diario di un viaggio in Flixbus

Una sosta non prevista ad Avellino, dieci minuti per sgranchirsi le gambe e respirare l’aria pungente che filtra attraverso la giacca leggera. La stazione di servizio è deserta, un benzinaio indica i servizi ai viaggiatori usciti dal pullman. Altra strada, è quasi buio, le pale eoliche girano sornione, alle spalle il sole arancione sta per tramontare. Lecce dista ancora due ore e cinquanta minuti. Viaggiare nel post pandemia è così. 

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