Schumacher. Campione del mondo. Ferrari. Se questo articolo si riducesse a un telegramma, basterebbero tre parole per far rombare i cuori di milioni di ferraristi e appassionati in tutto il mondo. Ma l’apparenza spesso inganna e ciò che sembra una realtà compiuta e fatta, a volte è solo un germoglio, una promessa per il futuro.
Mick Schumacher è un pilota tedesco di 21 anni che ha vinto il mondiale di Formula Due, l’ultima tappa del cursus honorum di un pilota prima di approdare nell’Olimpo dei fenomeni. Niente di eclatante, se non fosse per quel cognome che abolisce per sempre ogni speranza di anonimato.
La vittoria arriva nel Gran Premio di Sakhir, in Bahrain, nove anni dopo l’ultima gara disputata in Formula Uno dal padre Michael, ed è già un trionfo molto diverso da quelli paterni: niente dominio dall’inizio alla fine, ma un rocambolesco diciottesimo posto che gli vale il titolo grazie a un pizzico di astuzia e a tanta freddezza.
A pochi giri dalla fine, trovandosi nelle retrovie e consapevole di non poter arrivare in zona punti, Schumi decide di recarsi ai box per cambiare le gomme: una scelta che gli permette di correre il giro più veloce e di agguantare i due punti in classifica necessari a ottenere il primato matematico. Una vittoria di cervello, una dimostrazione che si può resistere alla pressione anche se ti chiami Schumacher.
Che il giovane prometta bene lo dicono i numeri. A ventuno anni vanta già due mondiali vinti: uno in Formula 3, nel 2018, e quello di ieri. Si presenta così alla Formula Uno Mick, figlio di Michael. Lui che di presentazioni non avrebbe bisogno. Debutterà nella massima categoria con il Team Haas, una scuderia satellite della Ferrari: «Forse la monoposto peggiore in circolazione dopo la Williams – commenta un po’ scettico (o forse scaramantico) Giovanni Marras, presidente dello “Scuderia Ferrari Club Vedano al Lambro”, primo official club italiano della Ferrari – il salto di categoria è notevole e i media non dovranno aspettarsi molto. È fondamentale che non si bruci». Difficile dire a quanto vada il cuore di un ferrarista come lui di fronte a un nuovo Schumacher in Formula Uno, ma un tifoso che ne ha viste tante non cede con leggerezza a facili entusiasmi.
«Mick è un ragazzo serio, ha un talento indiscutibile e ha dimostrato di saper reggere la pressione del cognome che porta. Le prospettive per il futuro sono rosee ma per esperienza so che piloti come Michael Schumacher nella storia si contano sulle dita di una mano».
Sognare però non costa nulla, e allora diciamola tutta: Mick Schumacher è già nell’orbita Ferrari, essendo cresciuto nella Ferrari Driver Academy, e ha già pilotato una monoposto del cavallino nell’aprile 2019, durante una sessione di test in Bahrain: «Mercedes e Red Bull ci avevano messo gli occhi sopra, ma sarebbe stato un delitto se il cognome Schumacher non fosse rimasto nella grande famiglia Ferrari».
«Possibilità di vederlo vestito di rosso? Al momento nessuna. Abbiamo già due piloti giovani come Leclerc e Sainz, lasciamo che il ragazzo cresca in pace. Poi, se si dimostrerà all’altezza, la Ferrari godrà di una sorta di diritto di prelazione nei confronti di un team satellite e allora ingaggiarlo sarebbe poco più di una formalità».
Ma se come pilota il figlio d’arte fa ben sperare, che dire dell’uomo Mick? Quanto c’è in lui di sangue Schumacher? Giovanni se la ride, come chi la sa lunga: «Mi stai chiedendo se è un algido teutonico come il padre? Non credo, anche se non lo conosco di persona. Ma posso dirti che, avendo conosciuto il papà, non è il tipo di ragazzo che dobbiamo aspettarci, perché neanche Michael era così. Certo, in pubblico era introverso, rilasciava interviste in inglese pure dopo tanti anni di vita in Italia, ma quello non era il vero Schumacher. Con i meccanici e gli altri membri della scuderia parlava in italiano, ma non sentendosi sicuro della pronuncia e della grammatica si vergognava a farlo davanti alle telecamere.
Il Michael nella vita privata sapeva anche ubriacarsi, far baldoria, e sapeva mostrare amore ed empatia verso chi gli era vicino. Ricordo un episodio che pochi conoscono: quando seppe della malattia di Pepi Cereda, un giornalista di Mediaset scomparso vent’anni fa e mio amico d’infanzia, andò a trovarlo sia in ospedale che a casa sua, lontano dai riflettori dei media. Lo sappiamo grazie ai membri del nostro club e ci sono foto che lo testimoniano».
Se la fortuna e il successo passerà di padre in figlio è ancora presto per dirlo. Un precedente che fa ben sperare anche Marras però c’è.
«Beh, non avrei mai pensato che ci sarebbe stato un Villeneuve più forte di Gilles. Jacques riuscì nell’impresa mai riuscita al padre di vincere un mondiale di Formula Uno. Per fare meglio di Michael però Mick dovrà vincerne otto. Auguri!».
Leggi anche: Montecarlo, correva l’anno…