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Esclusiva

Gennaio 27 2021
“Noi figli dei sopravvissuti non siamo normali”

«Noi figli dei sopravvissuti non siamo normali». Scrive così il deputato del Partito Democratico Emanuele Fiano nel suo libro dedicato al padre superstite della Shoah. Lo abbiamo intervistato

Suo padre ha vissuto il più grande genocidio della storia. Cosa le ha raccontato? C’è una frase in particolare o un episodio che le è rimasto impresso più di altri?

Tutto ciò che lui mi ha raccontato mi ha segnato tanto. Dieci persone della mia famiglia, arrestata dai fascisti, consegnata ai nazisti e poi deportata ad Auschwitz, hanno perso la vita in questa tragedia.
Con gli occhi di mio padre ho visto il razzismo, l’ostracismo, le loro torture e i loro efferati crimini.

La frase più ottimista che ricordo è: “nella notte più buia, quando il buio era più buio nella baracca di Birkenau, io con i miei compagni di baracca sentivo che più era profondo il buio della notte, più si stava per avvicinare l’alba, e quindi un altro giorno stava per arrivare, un altro giorno di speranza”.
Questa è la più grande lezione che lui mi ha lasciato, una lezione di ottimismo e forza di volontà.

Ha scritto il libro “Il profumo di mio padre. L’eredità di un figlio della Shoah”. Quando ha deciso di scriverlo? Quale messaggio ha voluto comunicare ai suoi lettori?

In realtà non ho deciso di scriverlo. Negli ultimi anni della sua vita mio padre ha avuto una degenerazione cognitiva celebrale. Come conseguenza ha smesso di ricordare e dunque anche di raccontare. È morto il 19 Dicembre 2020, in piena pandemia. Non potendo più vivere con lui né un dialogo né un rapporto fisico, dopo la sua scomparsa è come se fossi stato travolto da un flusso di ricordi, forse per compensare il vuoto che mi ha lasciato dentro. Così ho deciso di scriverne, prima in forma di racconto sulla mia pagina Facebook e poi nella stesura di questo libro, che parla di me e di lui e della storia che mio padre ha deciso di raccontare pubblicamente e della quale io ho deciso di farmi carico, per dovere ma anche per necessità. Questo progetto vuole essere una riflessione sul male, sugli orrori del passato, ma anche l’esempio di come un dramma si possa trasformare in un messaggio educativo e di speranza per le generazioni future.

La storia di suo padre come ha inciso sulla sua vita?

La sintesi è che io penso di non essere normale. Credo che i figli di un sopravvissuto alle camere a gas e ad  uno sterminio non lo potranno mai essere, perché hanno con sé un tesoro nascosto, un segreto, un patrimonio che non possono condividere fino in fondo con gli altri esseri umani che non hanno visto e vissuto dei momenti che non sarebbe nemmeno possibile immaginare.
La ferita di tutti coloro che hanno sofferto la Shoah è stata tramandata a noi figli e quindi la nostra sensibilità verso alcune tematiche quali la discriminazione, la diseguaglianza o il razzismo è un’arma a doppio taglio che ci spinge da una parte a lottare contro le ingiustizie, ma dall’altra a soffrirne più di chiunque altro.

È stata la rabbia e il dolore che ha provato per tutto quello che è successo che l’hanno spinta a fare politica?

Non saprei dire se è stata questa la reale motivazione.
Mi fu proposto, tanti anni fa, di candidarmi e accettai. Certamente sono stato stimolato in questa scelta dalla dimensione pubblica di quel racconto, di quella lezione che mi insegnò mio padre. Ho capito a che livelli si può spingere l’essere umano ma anche cosa può succedere all’uomo come vittima e come soggetto debole dinnanzi all’istinto di sopravvivenza, anche nei confronti dei propri simili. La sua storia è stata una lezione di vita non solo per me ma per tutta la collettività e forse questo mi ha trasmesso il desiderio di volermi prendere cura della mia comunità, di tutta la mia nazione.

Dal 2001 al 2006 è stato Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche. Quali sono state le attività e i progetti organizzati ai quali è stato più legato?

Sono tante le opere di beneficenza che sono state realizzate attraverso la comunità ebraica. Le ferite che porta su di sé il popolo ebraico ci hanno insegnato che la solidarietà umana non conosce confini di etnia, di lingua, di religione.

Una cosa che mi piacque molto fu quando la comunità di Sant’Egidio decise di ospitare, all’interno dei locali del memoriale della Shoah, i migranti che soggiornavano o dormivano nella stazione centrale di Milano, in seguito ad una forte pressione migratoria. Quelli furono i locali dove soggiornarono gli ebrei che venivano spinti dentro i vagoni dei carri di bestiame, diretti verso Auschwitz.

“Noi figli dei sopravvissuti non siamo normali”
Libro di Emanuele Fiano dedicato al padre, Piemme, 2021

Cosa rappresenta per lei la giornata della Memoria?

La giornata della memoria per me rappresenta un giorno per testimoniare di aver compreso la lezione sull’essere umano che ci proviene dal ricordo di quegli avvenimenti.
Dal passato abbiamo imparato che, quando delle nazioni attraversano forti crisi materiali e sociali, la loro frustrazione può trasformarsi in rabbia, e questa in follia. Quando si fuoriesce dal sentiero della libertà e della democrazia, ogni crimine è possibile e se si comprende quella lezione, se ognuno di noi si sente come se fosse stato anch’esso deportato, privato della libertà, fatto schiavo, sottoposto a angherie, alla tortura, alla violenza, allora c’è speranza per il futuro.

Crede che su questo tema i giovani siano abbastanza sensibilizzati o che le scuole e le famiglie dovrebbero far di più? Ci sono stati tanti formatori ed insegnanti che hanno dimostrato di saper trasmettere questo messaggio agli studenti, ma questo è un lavoro che non deve finire mai, è fondamentale. Per me è la colonna vertebrale morale di questa nazione. Noi dobbiamo suscitare domande nelle nuove generazioni, su cosa sia accaduto esattamente e su come sia stato possibile che un intero popolo decidesse di sterminarne un altro. Ancora oggi assistiamo ad episodi di razzismo tutti i giorni, contro gli omosessuali, contro i disabili psichici e fisici e tutto questo non può più essere perdonato.