Siamo grandi produttori di vino, il nostro spumante dà filo da torcere allo champagne francese, e anche con il luppolo non ce la caviamo male. Ma a bere come siamo messi? Grazie ai dati dell’Istituto Nazionale di Statistica (Istat), aggiornati al 2019, è possibile fare il test del palloncino al nostro Paese.
Dimmi quanti anni hai e ti dirò cosa vuoi
«Birra o vino, purché si beva!». Gli italiani, guardando la figura 1, non sembrano schizzinosi in fatto di alcolici. Dai 20 ai 59 anni, le due bevande sono più o meno alla pari (con una distanza massima di circa 7-10 punti percentuali). A preferire il luppolo sono i giovanissimi (18-19 anni, 37,4% contro 52%), vuoi per la maggiore accessibilità economica della birra, vuoi per la gradazione alcolica più bassa. Man mano che l’età avanza, però, si vira su gusti più forti e ricercati. Se è vero che il buon vino migliora invecchiando, anche il gradimento verso la bevanda di Bacco va di pari passo: amanti della mescita sono soprattutto gli anziani, in particolare nella fascia tra i 60 e i 64 anni (il 64,9% di loro dichiara di consumarlo). Ma sono gli ultra 75enni i veri amanti di bianco, rosso e bollicine: il divario con la birra, in questo caso, è di quasi 30 punti percentuali (29,9%). In generale, il consumo di vino tende ad aumentare con l’età, quello dei luppoli a calare: il sorpasso avviene nella fascia 55-59, ma già in quella 45-54 c’è un sostanziale pareggio (59,1% contro 61%).
Figura 1
La figura 2, pur rappresentando un numero esiguo di italiani, evidenzia che tra i bevitori assidui è la birra l’alcolico più popolare dei due. Ancora una volta, però, una tendenza: andando avanti con gli anni, si preferisce il calice al boccale.
Figura 2
L’Italia del buon bere
Pensando a regioni di grandi bevitori, vengono subito in mente i veneti, inventori del leggendario spritz, e i lombardi, dal cui estro sono nati cocktail immortali, come il Negroni “sbagliato”. Tuttavia, non sono loro a guidare la classifica degli amanti dell’alcol, ma… I liguri. Come evidenziato dalla figura 3, la Liguria è la regione i cui abitanti sono più avvezzi alle bevute quotidiane.
Figura 3
Terra di buon vino e colline punteggiate da vitigni prestigiosi, la Toscana comanda la classifica dell’Italia centrale; per il sud, a sorpresa, primeggia la Basilicata, con la Puglia a inseguire. Una regione per area geografica, tutte nello spazio di meno di un punto percentuale (0,7%). Tra i più morigerati, trentini e altoatesini, poi Lazio e Sicilia. Che si parli di uomini o donne, poco importa: più si scende lungo la penisola, meno si è abituati a bere con costanza (figura 4).
Figura 4
Scontro generazionale
I giovani, dicono i bene informati, sono incoscienti e spericolati. Che sia pregiudizio o verità, la figura 5 sembra dar ragione al luogo comune. Il picco di consumo abituale ed eccessivo di alcolici, infatti, si verifica tra sedicenni e diciassettenni (40,8%). Ma i teenager non sono soli in questa speciale classifica. A tallonarli… I loro nonni. Che la saggezza non venga poi davvero con l’età? Le fasce 65-74 e 75+, infatti, occupano gli altri due gradini del podio, rispettivamente con il 19,8% e il 17,8%. Se accorpiamo le classi 11-15 e 16-17, infine, otteniamo una media del 17,9%, che scalzerebbe i nonni dalla terza posizione.
Figura 5
Giro (alcolico) d’Italia
Nel nostro viaggio, si è visto come siano trentini e altoatesini, tra i bevitori abituali, a tenere a freno il gomito più di tutti i loro connazionali. Ma, osservando gli eccessi una tantum, il cosiddetto binge drinking (figura 6), balza agli occhi un dato: è proprio a Trento e a Bolzano (oltre che ad Aosta) che ci si ubriaca di più: si beve poco, ma quando si beve lo si fa sul serio. Sono invece i valdostani gli italiani cui capita più spesso di esagerare con gli alcolici (14,6%), tallonati dai liguri (12,9%). A poca distanza, i toscani (11,9%), mentre a braccetto in quarta posizione troviamo molisani ed emiliano-romagnoli, entrambi all’11,7%.
Figura 6
Regione che vai, bevanda che trovi
Le scelte alcoliche degli italiani dipendono molto dalla regione in cui vivono. In quasi tutta la Penisola, c’è più abitudine a bere bianchi e rossi rispetto ai luppoli: fanno eccezione, con percentuali oscillanti tra il 51 e il 53%, solo cinque regioni: Abruzzo, Molise, Puglia, Calabria e Sicilia (figura 7).
Figura 7
Ma quali regioni preferiscono il vino? E quali la birra? Un approfondimento grafico interattivo, disponibile QUI (vino) e QUI (birra), aiuta a stilare una classifica per bevanda alcolica. A comandare la squadra dei calici è l’Emilia-Romagna, seguita da Valle D’Aosta e Toscana; per il team boccali, al vertice troviamo la Valle D’Aosta, tallonata da Calabria e Friuli-Venezia Giulia. Una questione regionale che vede il vino avanti in 3 macroaree su 5, come emerge dalla figura 8.
Figura 8
Studiare aiuta a bere, o bere aiuta a studiare?
L’avere o meno una laurea, e magari conoscere, anche nello specifico, quali sono gli effetti di un eccessivo consumo di bevande alcoliche, può portare a moderarsi nel bere? O i tanti anni passati sui libri portano proprio a eccedere? I dati forniti dall’Istituto nazionale di statistica scattano una fotografia alla correlazione tra titolo di studio e l’uso o abuso di bevande alcoliche.
Titolo di studio | Nell’anno | di cui tutti i giorni | Mai |
Dottorato di ricerca o laurea | 80,6 | 19,2 | 19,4 |
Diploma superiore | 75,7 | 21,6 | 24,3 |
Licenza media | 69,0 | 25,6 | 31,0 |
Licenza elementare | 54,6 | 25,9 | 45,4 |
Tabella 1
La tabella 1 indica la percentuale della popolazione dai 25 anni in su, divisa per titoli di studio, che ha assunto almeno una bevanda alcolica nell’anno 2019, chi ne ha fatto un consumo giornaliero e chi, invece, non ha mai bevuto, in percentuale.
Figura 9
Coloro che hanno raggiunto il grado di istruzione più alto, un dottorato di ricerca o una laurea, hanno una maggiore propensione al consumo occasionale di alcolici rispetto a chi ha concluso prima il suo percorso di studi. Come possiamo vedere dall’istogramma (figura 9), il numero di soggetti che assumono almeno un bicchiere di vino o un boccale di birra o un altro tipo di alcolico durante l’anno cresce con l’aumentare dei titoli di studio accumulati. Di contro, a farne un utilizzo giornaliero regolare sono maggiormente coloro che hanno un basso livello di istruzione.
Figura 10
Nel grafico a torta (figura 10) è rappresentata la percentuale degli astemi all’interno delle stesse categorie, divise per titolo di studio. Ne troviamo maggiormente tra quelli che hanno conseguito solo la licenza elementare. Possiamo quindi affermare che le persone più istruite fanno per lo più uso occasionale di alcolici, mentre tra i meno istruiti vi è una maggiore propensione ad alzare il gomito, ma anche più soggetti astemi.
Per essere certi di questa conclusione, esploriamo due fenomeni distinti: il consumo abituale eccedentario di bevande alcoliche (ubriacarsi con frequenza abituale) e il binge drinking.
Figura 11
Come già visibile dalla figura 9, anche nella figura 11 osserviamo che l’abituale eccesso di bevande alcoliche è più frequente fra i meno istruiti, mentre il binge drinking è praticato maggiormente fra chi ha il titolo di studio più alto. Il motivo per cui questo comportamento sia più diffuso tra chi ha frequentato superiori e università va forse ricercato nella sua definizione: «Assunzione smodata di alcol, finalizzata a un rapido raggiungimento dell’ubriachezza e praticata generalmente in occasione di feste o durante il fine settimana». D’altronde, si sa: a scuola, oltra alla chimica e alla filosofia, si impara anche a organizzare le feste migliori.
A spiegare meglio il panorama offerto dall’Istat sulla particolare correlazione fra consumo di alcol e titolo di studio è Giuseppe Lavenia, psicologo e psicoterapeuta. «Chi ha un basso livello d’istruzione probabilmente non ha una situazione economica florida. Per questo cerca la strada più semplice, quella dell’alcool». L’esperto spiega così perché chi ha un grado d’istruzione più basso tende a eccedere più spesso nel consumo di alcol. E aggiunge che limitate risorse economiche possono portare anche alla conseguenza diametralmente opposta, ossia l’astemia. «Se si ha una insufficiente disponibilità economica spesso si preferisce spendere per mangiare, e non per bere».
Riguardo la pratica eccessiva del binge drinking tra i più istruiti, lo psicoterapeuta non ha dubbi: «La fascia alta nel weekend si devasta. Si lavora cinque giorni su sette, e il venerdì sera si beve tanto. Così fa chi non può permettersi di abusare di alcol durante i giorni lavorativi. È classica come reazione».
Storie di eccessi
Chi non ha mai alzato il gomito almeno una volta, in un anno? In molti, in realtà. L’Istat ha misurato due comportamenti a rischio nel consumo di alcol, li abbiamo già incontrati: il consumo abituale eccessivo e il binge drinking. Dal 2013 al 2019, secondo le rilevazioni, si è verificata una graduale riduzione dei comportamenti a rischio (figura 12). Si potrebbe dire che non ci si sballa più come una volta.
Figura 12
Complessivamente, vi è stata una riduzione di 5 punti percentuali in 16 anni. Tra i due comportamenti a rischio sopracitati, ad aver avuto una caduta più repentina è stato il consumo abituale eccessivo, che è passato dall’essere un comportamento che interessava il 16,9% degli italiani nel 2003, al 9,7% del 2019. Un calo di 7 punti percentuali (figura 13).
Figura 13
Al contrario, la pratica del binge drinking si è mantenuta costante tra il 2003 e il 2019. Il 7% della popolazione italiana ha continuato a fare baldoria.
Figura 14
Va detto che tra il 2003 e il 2019 sono stati riscontrati picchi verso l’alto, in particolare negli anni 2005, 2010, 2018 (figura 14). Gli aumenti vanno ricercati nelle abitudini alcoliche della popolazione femminile, dove il binge drinking in questi anni è lievemente cresciuta passando dal 2,8% del 2003 al 3,5% del 2019 (figura 15).
Figura 15
Tra donne e uomini però, ad alzare più il gomito e ad apprezzare maggiormente il gusto (e gli effetti) di un buon Gin Tonic rimangono gli uomini. Anche se il divario sta via via assottigliandosi (figura 16).
Figura 16
Pregiudizi? No, grazie
Come bevono in Europa? Chi ama di più gli alcolici, gli inglesi o i tedeschi? Nessuno dei due. È il Portogallo ad avere questo primato, secondo una speciale classifica stilata nel 2014 da Eurostat, l’Ufficio statistico dell’Unione europea, che indica i Paesi con la maggiore percentuale di consumo d’alcol giornaliero all’interno dell’Unione. Se il Regno Unito (all’epoca membro dell’UE) si limita a un 7,5% e la Germania fa poco meglio con il 9,3%, i lusitani stracciano tutti con una percentuale del 24,2. Ai piedi del podio invece troviamo quasi appaiate il Belgio e, udite udite, l’Italia, rispettivamente con il 14,2% e 14,1%. Ci difendiamo eccome in questa graduatoria, che mostra un lato del tema che sfugge agli stereotipi.
Un dramma chiamato “Covid-19”
Il periodo che stiamo vivendo da un anno, condizionato dalla pandemia, ha influenzato tantissimi aspetti delle nostre vite, compreso il consumo di bevande alcoliche, che è cresciuto. Come nota lo psicologo Giuseppe Lavenia, «l’alcol è un sintomo: spesso viene utilizzato per reagire a situazioni che ci fanno soffrire. Quando siamo soli tutto è amplificato, quindi l’isolamento non può che aumentare certi fenomeni». A supportare questa lettura, i dati ottenuti dalle ricerche sul web, visualizzati grazie a Google Trends, che prendono in esame gli ultimi cinque anni (figura 17).
Figura 17
Per la parola chiave “alcool” (così come per la dicitura “alcol”) si nota un picco evidente nel periodo compreso tra il 15 e il 21 marzo 2020, appena una settimana dopo l’inizio del lockdown. Una coincidenza che non può essere casuale, come quelle che seguono (figura 18).
Figura 18
Figura 19
Per la parola chiave “alcool a domicilio”, non molto cercata nel corso degli ultimi 5 anni, Google Trends restituisce due situazioni interessanti. Innanzitutto, il picco che si rileva tra il 29 marzo e il 5 aprile, a quasi un mese dal lockdown del 2020, mostra come le persone abbiano iniziato ad accusare il tempo in isolamento. In quel momento è aumentata la richiesta di alcool a domicilio, per poter bere senza violare la quarantena. Altro dato rilevante è che le ricerche arrivino dalla Lombardia, come mostra la seconda immagine (figura 19), primo luogo a essere colpito duramente dal virus.
Figura 20
La parola chiave “comprare alcool” presenta un picco massimo tra il 19 e il 25 aprile 2020, superiore anche a quello dell’agosto 2016, nel periodo delle Olimpiadi estive di Rio de Janeiro, in Brasile. Anche qui (figura 20) si nota come «la solitudine derivante dal lockdown abbia influenzato le persone nell’uso di alcol».
Ragazzi soli
Ma quanto ha influito il lockdown sul consumo di alcol? E quali sono le categorie che ne hanno più risentito? Nel rispondere a queste domande, il dottor Lavenia non ha dubbi: «Gli adolescenti hanno accusato molto il colpo. Abbiamo dati che testimoniano come l’uso di sostanze alcoliche sia salito del 30% nella fascia d’età che va dai 16 ai 21 anni. E si tratta di un aumento indiscriminato, che non segue il livello di istruzione, per esempio».
Il lockdown ha lasciato soli gli italiani, rinchiusi in casa senza la possibilità di incontrarsi. Ciò, secondo lo specialista, ha limitato la capacità di sfogarsi, esponendo i giovani all’abuso di alcolici. «Soprattutto per i ragazzi è difficile gestire una frustrazione del genere – continua –. Abbiamo esempi di alcuni che prima del Covid-19 erano astemi, poi, a partire dalla quarantena, hanno iniziato a bere. In particolare, la Didattica a Distanza (DAD) ha peggiorato la situazione. Alunni che devono seguire ore di lezione da soli, senza poter uscire nel pomeriggio né incontrare gli amici, si sfogano spesso in modi sbagliati. Non è raro che bevano grappa mentre ascoltano i professori, con i genitori che pensano che si tratti di acqua. L’alcol è pericoloso perché è più facile da reperire rispetto ad altre sostanze, inoltre per i ragazzi nativi digitali è semplice ormai organizzare aperitivi online come unico stratagemma per fuggire dalla monotonia delle loro giornate».