«Ad un certo punto un militare ha imbracciato la sua arma e si è messo in posizione, come per sparare. Noi gli abbiamo detto: “siamo studenti, vogliamo solamente andare a casa!”»
Nze viene dalla Nigeria e studia in un’università di Kiev. Quando è iniziata l’aggressione russa, ha deciso di scappare in Polonia. Dopo alcuni giorni è riuscito ad arrivare a Varsavia, pagando 200 euro per un taxi, visto che gli autobus che trasportano i cittadini gratuitamente non erano più disponibili.
Ma i problemi, per lui, erano già iniziati. Tre giorni prima era partito dal centro di Kiev con un treno diretto a Leopoli. Da lì lo studente nigeriano voleva raggiungere la Polonia. «Quando siamo arrivati al confine c’era una barricata presidiata dalla polizia e dai militari ucraini. Vedevamo attraversare donne, bambini, ma anche uomini, solo di pelle bianca però. Gli abbiamo chiesto: “Ma che cosa state facendo? Devono davvero passare cento ucraini prima che autorizziate almeno due africani a passare?”. Non aveva senso, noi eravamo lì ancora prima che gli ucraini arrivassero».
A quel punto abbiamo iniziato a correre e abbiamo rotto le barricate. La polizia Ucraina ci inseguiva e usava dei bastoni per picchiarci. Arrivati al confine ci hanno detto: “non potete passare perché è notte e il confine ora è chiuso”. Abbiamo dormito un’altra notte all’esterno, con -4 gradi di fuori».
I militari ucraini non hanno lasciato dubbi. «Se siete africani o indiani dovete andare via da qui e recarvi a un altro confine, quello rumeno», urlavano a Nze che, stanco per la fuga, non è rimasto in silenzio. «Basta! Siamo stanchi. Dormiamo qua o uccideteci pure» diceva.
Al confine polacco allo studente hanno chiesto solo il passaporto e il permesso di soggiorno. Non ci sono stati problemi, gli hanno controllato i documenti e lo hanno fatto passare. Ora Nze non vuole lasciare nessuno indietro. Grazie alle donazioni ricevute su Twitter, ha organizzato una rete di viaggi per aiutare a oltrepassare il confine ucraino verso la Polonia.
Secondo i dati riportati da Filippo Grandi, Alto Commissario ONU per i rifugiati, intervenuto al Consiglio di Sicurezza, ci sono più di un milione di rifugiati scappati dall’Ucraina nei Paesi vicini, in solo una settimana. I numeri dicono che più di 280 mila cittadini sono scappati in Polonia, 94 mila in Ungheria, 40 mila in Moldova, 34 mila in Romania e 30 mila in Slovacchia. Esiste anche un numero rilevante di profughi fuggito nella Federazione Russa. A queste cifre si aggiungono migliaia di persone disperse all’interno della stessa Ucraina.
Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, valuta in maniera positiva la risposta che le istituzioni internazionali stanno dando alla crisi. «Il Consiglio Ue ha approvato ieri all’unanimità l’applicazione della direttiva 55/2001 dell’Unione Europea, che prevede una forma di protezione temporanea in caso di arrivi massicci di persone che non possono tornare nel loro paese. È una decisione storica, non era mai stata applicata». I cittadini ucraini che scappano dalla guerra potranno rimanere sul territorio Ue per almeno un anno, senza dover presentare domanda d’asilo.
«Allo stesso tempo stiamo notando che c’è una discriminazione dei profughi alle frontiere. L’Ucraina era, prima del 24 febbraio, un luogo di rifugio a sua volta, per persone che provenivano da est, ma anche dall’Asia occidentale», continua Noury,
«Le persone che fuggono vengono percepite come simili a noi, ma questa empatia non deve trasformarsi in discriminazione. Possiamo elogiare la Polonia per il fatto di aver aperto nuovi ponti di frontiera, ma non dobbiamo dimenticarci che fino a pochi mesi fa quegli stessi confini erano al centro di un gioco sporchissimo a chi respingeva più profughi. Non è l’occasione per recriminare, ma per auspicare che questa situazione straordinaria produca delle risposte che valgano sempre», conclude il portavoce di Amnesty.
Dello stesso avviso è Carlotta Sami di UNHCR Italia. «Chiediamo che vengano accolte tutte le persone che fuggono dall’Ucraina, non solo le persone con passaporto ucraino. Abbiamo pianificato un intervento per 4 milioni di persone in fuga dal Paese. I paesi di arrivo sono però sovrani e stanno predisponendo l’accoglienza in maniera autonoma, noi siamo solo a supporto. Non possiamo fare altro che aiutare chi ne ha bisogno».