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Esclusiva

Marzo 10 2022.
 
Ultimo aggiornamento: Maggio 1 2022
«I bambini non parlano più»

Non solo ucraini ma un caleidoscopio di nazionalità è quello che sfugge dalla guerra. Bisognosi di cure e stremati dal viaggio i profughi arrivano sul confine con la Polonia

«Ci sono bambini che hanno smesso di colpo di parlare. Sembra che si siano dimenticati come si fa a parlare e si sono chiusi in un mutismo che è frutto del travaglio subìto». È così che i profughi ucraini arrivano in Polonia, dopo un viaggio durato giorni tra il freddo e la nostalgia di una vita che non esiste più. Nei loro occhi le macerie delle bombe, il rombo degli aerei, il fischio sinistro dei carri armati, il dolore per parenti e amici caduti o rimasti in patria a portare avanti la resistenza.

A raccontare le loro storie è Giovanni Visone, collaboratore di rientro dalla Polonia di Intersos, un’organizzazione non governativa che ha stabilito la propria base a Korczowa, città polacca sulla direttrice di Leopoli. «C’è un posto che è un centro commerciale a circa quattro chilometri dalla frontiera sulla principale autostrada per Leopoli. È stato svuotato e riconvertito a centro di transito e di prima accoglienza per i rifugiati». 

Profughi Ucraina

Da Leopoli la strada si biforca e chi scappa arriva a Korczowa o a Przemysl, a una ventina di chilometri a sud di Cracovia. Le persone arrivano alla frontiera vicina e vengono trasportate nel centro di Intersos per ricevere una prima indicazione su dove andare e un primo screening medico.  

«A manifestare il bisogno di cure mediche sono state soprattutto mamme con bambini, spesso anche molto piccoli. In molti casi si tratta di problemi non particolarmente gravi: febbre e difficoltà respiratorie». Sono le conseguenze di un viaggio, durato molte ore se non giorni, che queste famiglie hanno dovuto affrontare in condizioni precarie per arrivare al confine. «Ci siamo trovati di fronte anche a bambini di pochi giorni o a casi di malattie, in forma acuta o grave, come leucemie e tumori, non trattate». Migliaia di persone sono state colpite dalla guerra mentre erano in cura in qualche ospedale e sono stati costretti a interrompere le cure. Non mancano i casi traumatici: «è arrivata da noi una donna che aveva appena partorito. Aveva avuto un’emorragia e necessitava di una trasfusione urgente. In quel caso è stata fondamentale la collaborazione con le autorità sanitarie locali».

L’altra categoria di pazienti che arrivano al centro è fatta di persone con malattie croniche, come ipertensione, diabete e asma, che hanno dovuto interrompere le loro cure per mancanza di medicinali. «In generale, ci siamo trovati a trattare persone molto provate, sia fisicamente sia psicologicamente.  Ancora una volta questo dramma è particolarmente evidente nelle donne e nei bambini. Le mamme sono spaventate, alcune vengono da noi anche se il figlio ha poche linee di febbre. Sono in cerca di conforto e di qualcuno che si prenda curo di loro». 

Profughi Ucraina

Anche i più piccoli hanno subito il trauma della guerra: «i bambini più piccoli sono estremamente provati fisicamente, quelli che hanno già qualche anno, a partire dai 2/3 anni sono molto traumatizzati». Non si può dire con certezza se il chiudersi nel mutismo sia indice di un vero e proprio disturbo post-traumatico da stress, ma quello che è certo è che «serve una cura umana, oltre che medica».

Profughi Ucraina

Sul campo, oltre alla presenza dei medici specializzati in migrazioni, sono necessarie anche altri tipi di professionalità, come quelle di mediatori linguistici ed esperti di protezione umanitaria. «Una parte importante del lavoro che occorre potenziare è l’indirizzamento su percorsi di protezione delle persone più vulnerabili come donne sole e i minori non accompagnati. C’è grande presenza di volontari sul territorio, ma ancor più necessaria è una presenza umanitaria strutturata anche per garantire certi standard nella risposta alle esigenze che si presentano».

Tra le persone assistite non ci sono solo gli ucraini, ma anche tanti stranieri che vivevano in Ucraina, come cittadini uzbeki e tagiki , e sono stati allestiti i punti di supporto delle ambasciate dell’Uzbekistan e del Pakistan per favorire il ritorno a casa di queste persone. «È capitato di assistere una donna norvegese e una famiglia vietnamita che vivevano in Ucraina. Anche molti studenti di medicina dell’Università di Kharkiv erano giordani e indiani giordani. È un mondo in fuga ed è importante che a tutte queste persone sia garantita protezione internazionale».

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«I bambini non parlano più»

Secondo le stime generali delle Nazioni Unite sono ormai oltre un due milioni i profughi. Ogni giorno nel centro di prima accoglienza di Intersos arrivano tra le seimila e le settemila persone. «Le persone si fermano qui per riposarsi per alcune ore o per una notte». Poi il viaggio prosegue: «bus messi a disposizione gratuitamente si dirigono verso altre città della Polonia o anche verso città europee o italiane». 

La guerra è alle spalle, di fronte una vita da ricostruire.