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Esclusiva

Giugno 10 2022
«Il maschile che noi diamo per scontato non è senza conseguenze»

La sociolinguista Vera Gheno parla di sessismo linguistico, toccando argomenti cruciali per il futuro neutrale della lingua italiana

Partendo dall’homo sapiens e dal ruolo, a quanto pare, fondamentale che la donna aveva nella creazione del dialogo tra lei e il proprio figlio fino ad arrivare all’uomo di oggi, Vera Gheno parla della gens “patriarcale” passando per il white privilege arrivando alla metacognitiva mancante. 

«Bisogna immaginare la lingua come un museo. Ci sono i visitatori e persone nelle teche. 

Tutte le teche contengono i diversi, i “non normali”, tutti etichettati dai visitatori che sono i discriminanti».

La persona che si trova dentro la teca è banalizzata e appiattita dalla definizione data dalla società.

«Non si può neanche parlare di inclusione. O meglio, è sbagliato il termine stesso perché implica che c’è una persona emarginata che ha bisogno del permesso di chi discrimina per essere accolta».

Vera Gheno, nata in Ungheria da madre magiara e padre italiano, è una scrittrice, saggista, sociolinguista, specializzata in comunicazione digitale.

Tra insegnamento all’università, 11 libri pubblicati ha anche lavorato per circa 20 anni nella redazione del profilo twitter dell’Accademia della Crusca.

«Petaloso è colpa mia» esordisce mentre parla di come le parole non debbano essere accettate da qualcuno perché l’uomo è per definizione “Onomaturdi” ovvero colui che nomina cose. 

«Sono stata io a scrivere un tweet riprendendo il termine inventato da Matteo, un bambino delle elementari. Ed è diventato virale».

Da lì in poi, è diventato interessante parlare della lingua italiana, grazie anche ad internet e alla globalizzazione. 

Se prima l’incontro con il “diverso” era raro adesso è all’ordine del giorno e proprio perché la lingua è “specchio della società che la parla” sono iniziati i dibattiti sulla lingua italiana che è prevalentemente maschile. 

Si è iniziato a discutere l’introduzione del femminile nelle professioni e poi del neutrale per includere anche coloro che non si identificano più nei due sessi predefiniti naturalmente.

«Una differenza fondamentale che molti fanno fatica a identificare è quella di genere. Esiste l’identità di genere e l’orientamento sessuale e spesso non sono collegati»

C’è chi si identifica nel sesso biologico assegnato alla nascita e chi invece si considera fluido, ed è sbagliato assumere che ad un uomo piaccia una donna e viceversa basandosi unicamente sul loro sesso biologico

«Esistono le persone Cisgender, coloro la quale identità di genere e sesso biologico combaciano. Poi ci sono le persone Transgender ovvero tutte quelle persone che sono fluide».

Per questo serve una lingua neutrale che possa abbracciare tutte le persone che non ricadono dentro cerchi normalmente accettati dalla società. 

«In inglese esiste il “they” neutrale per tutte quelle persone non binarie, ovvero che non si identificano né in un uomo né in una donna».

Come la schwa in Italiano: non è creare un terzo genere ma è l’assenza del genere. 

«La schwa tende a confondere, questo lo riconosco. Nei discorsi pubblici, lezioni, conferenze cerco di utilizzare i collettivi. Ma anche quando scrivo perchè può essere un muro per i dislessici o persone con disabilità. Ma anche per gli anziani».

Un processo quindi, ancora in lavorazione che però trova nella Generazione Z – e quelle dopo – un appiglio solido.

Su cosa si dovranno impegnare le generazioni future? Su un’inclusione che non è più un “permesso” da parte dei “normali” ma un fluido accettare noi stessi, senza aver necessariamente bisogno di spiegarsi.