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Esclusiva

Febbraio 14 2023
Burt Bacharach, il compositore di tutti

È stato il pianista di Marlene Dietrich e il padre musicale di Dionne Warwick, rivoluzionando la storia della canzone popolare

«Non avere paura di scrivere qualcosa che la gente possa ricordare: non aver paura di una melodia». Per un giovane Burt Bacharach, studente di composizione alla McGuill University di Montreal, questa frase fu una rivelazione. Tanto più che a pronunciarla non era stato un insegnante qualunque, ma Darius Milhaud, uno dei maestri del modernismo musicale. Atonalità, serialità, strumenti preparati: questo insegnava Milhaud e questo imparava Bacharach. Così il giovane ha raccontato di come talvolta si vergognasse di far sentire al maestro ciò che aveva scritto: come nel caso di una sonatina per pianoforte, violino e oboe, il cui secondo movimento era «molto melodico, cantabile». Fu allora che Milhaud gli rivolse quella frase.

Quel talento che Bacharach aveva nello scrivere melodie trasformerà l’allievo in uno dei più famosi compositori d’America. Scomparso l’8 febbraio 2023, il musicista ha lasciato un’eredità ben più grande delle oltre 500 composizioni che ha scritto: maestro dell’easy listening, ne ha rivoluzionato il corso e ne ha cambiato il linguaggio. A partire dagli anni Cinquanta, questo termine era nato per identificare un genere di canzone disimpegnata, anche nota come musica d’atmosfera o lounge music, e di derivazione orchestrale. Ma le canzoni di Bacharach erano solo apparentemente facili, e nascondevano in realtà finezze armoniche sorprendenti e mettevano – non poco – in difficoltà i suoi interpreti. «Non ho regole, a parte una: non rendere le cose difficili per l’ascoltatore, ma solo per il cantante». Si pensi agli intervalli e alle battute asimmetriche di Alfie o ai ritmi inattesi di I say a little prayer for you e Promises Promises, che cambia tempo sedici volte in pochi minuti.

Burt Bacharach, il compositore di tutti
Burt Bacharach ed Elvis Costello Ph. William Claxton

Questo perché Bacharach si era innamorato del bepop ma fondeva nella sua musica la profonda passione della scrittura orchestrale di Debussy e Ravel, che lui stesso indica come suoi ispiratori. «Non è la melodia o il testo ma è tutto quello che c’è attorno: i colori dell’orchestra, la linea del basso, il riff di batteria…». Quando Bacharach si trasferì al Brill Building di New York – in quel luogo che diverrà noto come Tin Pan Alley, il nucleo dell’industria musicale – conosce il paroliere Hal David. È l’inizio del successo: il duo raggiunge le classifiche britanniche con The story of my life nel 1957, poi scopre una giovanissima corista, Dionne Warwick. Per lei Bacharach e David scriveranno almeno quindici singoli di successo in un decennio (Don’t make me over, Walk on by, I say a little prayer, Do you know the way to San Josè?) aiutando la cantante nella sua incredibile carriera.

E gli anni Sessanta sono anche quelli dei film, per cui Bacharach e David scrivono hit come What’s new pussycat, Here I am, The look of love e Raindrops keep falli’ on my head: per quest’ultimo i due sono premiati con gli Oscar per la Miglior Canzone Originale e Miglior Colonna Sonora. Poi arriva il musical, Promises Promises: vinceranno un Tony e un Grammy awards. Dopo una battuta d’arresto negli anni Settanta – un divorzio musicale tra Bacharach, David e Warwick – Bacharach torna alla ribalta con Own my own e That’s what’s friends are for, mentre il suo repertorio comincia ad avere sempre più fortuna attraverso cover e reinterpretazioni, anche di gruppi giovanili.

Cambiando la storia della musica componendo canzoni solo in apparenza semplici, Bacharach ha conquistato più di una generazione. E se oggi, in maniera a volte inconscia, ci ritroviamo a canticchiare e a riconoscere alla radio I say a little prayer o Close to you, il merito è di un talento che ha voluto e creduto che la canzone dovesse essere il più mainstream possibile: Bacharach ha riconosciuto che la bellezza della melodia dovesse accompagnarsi alla complessità e al rigore della struttura, dimostrando come anche la “canzonetta” dovesse e potesse essere presa sul serio.

Forse, allora, il miglior modo per ricordarlo è con quelle parole che la diva, attrice e cantante Marlene Dietrich gli dedicò in diretta televisiva per quegli anni passati a suonare con lui. «Vorrei poter dire che sia il mio compositore, ma non è vero. Lui è il compositore di ognuno».

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