Una vecchia automobile arancione percorre la Sicilia: dal bianco assolato delle architetture arabe alle terre nere dei crateri etnei, passando attraverso miti e leggende dell’isola. Molto più di un road movie, La primavera della mia vita è un doppio viaggio di liberazione, quello di Lorenzo e Antonio, meglio noti come Colapesce e Dimartino, alla riscoperta di una profonda amicizia. Sullo schermo i due artisti portano personaggi «soltanto un passo oltre la realtà» del loro rapporto e delle loro personalità, afferma il regista Zavvo Nicolosi che, oltre a stare dietro la macchina da presa, nella vita è uno psichiatra.
Surreale, sperimentale e incosciente come solo un’opera prima può essere, La primavera della mia vita è un progetto che unisce un multiverso di possibilità, una volta si sarebbe detto un progetto crossmediale che inizia con un cortometraggio autoironico dal titolo evocativo S.U.C.AI., prosegue con il 73° Festival di Sanremo e si rivela del tutto sullo schermo cinematografico. Nulla ha a che vedere, tuttavia, con le operazioni di marketing già viste quest’anno con le serie Amazon e i documentari dedicati alla scena musicale italiana contemporanea, da Mahmood a Elodie. Colapesce e Dimartino, invece, entrano nei meccanismi cinematografici già nella prima fase, come autori del soggetto e co-sceneggiatori insieme a Zavvo Nicolosi e Michele Astori.
Il pane allucinogeno dell’isola Cornuta, i giganti nani che abitavano la Sicilia, gli editori occulti che hanno costretto un William Shakespeare di Messina ad ambientare Romeo e Giulietta a Verona per via di una certa lobby di intellettuali. A guidare il viaggio dei due amici per l’isola è una sua strana mappa basata su antiche dicerie. Il complottismo è l’elemento principale dell’ironia che caratterizza il film, com’era accaduto anche per i corti nati dal sodalizio artistico tra i due cantautori e lo stesso Nicolosi.
Colapesce e Dimartino mettono in scena la loro amicizia che, anche nella realtà, definiscono «basata sulla sfiducia». Dopo un brutto litigio e una lunga assenza i due si rincontrano: Antonio credulone, adepto di una setta di fricchettoni glam e Lorenzo disilluso e scettico, imbevuto di cinismo e psicofarmaci per ogni evenienza. Si scontrano due modi di intendere la vita e dal loro impatto scaturisce una comicità surreale, favorita dall’ambientazione. «La Sicilia è la terra del verosimile, non del vero» dice Dimartino. Così un gigante può vestire un doppiopetto salmonato e un bagno chimico può essere scambiato per un’installazione di Cattelan. Simpatiche anche le comparsate di Vecchioni nel ruolo di un vecchio professore complottista, Madame che si esibisce su un brano originale del duo e Brunori Sas che è a capo di un fan club di Jim Morrison.
I due cantautori mescolano il linguaggio della loro musica a quello delle immagini, sovrapponendosi in ogni parte, con acuta ironia, all’opera nella sua totalità.
Le opere prime
La corrispondenza e l’aderenza fra autori e film è un elemento ricorrente, anzi caratterizzante, delle cosiddette opere prime, gli esordi al lungometraggio di finzione. Nel caso di La primavera della mia vita è una definizione che si può estendere anche al duo di artisti da cui il progetto è nato, «sulle note del telefono, anni fa», nonostante la regia sia di Nicolosi soltanto.
Colapesce e Dimartino infatti fanno convergere in questo esordio i loro temi e le loro visioni, trasfigurandoli nella comicità «alla John Landis» a cui fa riferimento registico Nicolosi, con l’aggiunta di una fotografia in stile True Stories (David Byrne, 1986), commedia musicale di metà anni ’80. Due Blues, anzi Indie, Brothers in missione per conto non di Dio ma senza dubbio della musica.
«Un film del genere non si sarebbe potuto fare se non fosse stata un’opera prima», ha affermato in conferenza stampa Astori, il capo sceneggiatore che ha avuto il compito di cucire insieme tutti gli spunti raccolti nel tempo dai due cantautori, perché solo nel salto verso l’ignoto, tra l’idea e la prima realizzazione cinematografica, si ha il coraggio di osare fuori dagli schemi imposti dai linguaggi convenzionali.
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