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Esclusiva

Febbraio 28 2023
Kiss the future, o di quando gli U2 riunirono Sarajevo

Presentato alla Berlinale 2023, il documentario di Nenaid Cicin-Sain offre uno sguardo su come il rock abbia tenuto viva l’umanità e la speranza della città negli anni del suo assedio

1425. È il numero dei giorni in cui la capitale bosniaca fu attraversata dal conflitto civile più lungo e violento in Europa dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Quattro lunghissimi anni – dal 1992 al 1995 – in cui la popolazione civile fu tenuta ostaggio dalle forze armate serbe che rivendicavano l’indipendenza. Sarajevo fu bloccata in una notte, i servizi essenziali interrotti, i cecchini sparavano a vista. Eppure, nel sottosopra di quella città, nei garage e nei rifugi antiatomici, c’era una giovinezza che affrontava la guerra con la musica, tra concerti e discoteche clandestine.  

Ad assistere a quelle ribellioni post-punk c’era anche Bill Carter, un giovane giornalista e attivista americano che aveva iniziato a collaborare con la Radio di Sarajevo. Carter si era prefisso un obiettivo: riuscire, pur da un territorio massacrato dalla guerra, ad intervistare gli U2 – allora all’apice del successo. Tra insistenti chiamate e numerosi fax, il giornalista ottenne di poter incontrare Bono durante una tappa dello Zoo TV tour degli U2 in Italia, trasmettendo l’intervista alla Tv bosniaca. Fu l’inizio di qualcosa di più: conquistato dalla causa umanitaria, Bono decise – vista l’impossibilità di organizzare un concerto nella capitale – di portare la città in diretta sul palco ad ogni concerto europeo. A quella terra la band dedicò anche una canzone, Miss Sarajevo. Fino a quando, il 23 settembre 1997 – a quasi un anno dalla fine del conflitto civile – gli U2 riuscirono ad organizzare un gigantesco concerto a Sarajevo.  

Kiss the future, o di quando gli U2 riunirono Sarajevo
Clip del documentario “Kiss the future”

La riunificazione di una città paralizzata avveniva così attraverso la musica: nelle parole dei suoi protagonisti è stata quella data, e non il 26 febbraio del 1996, a mettere definitivamente fine alla guerra. Perché quel concerto portò sul palco anche la storia di Sarajevo, e cioè la sua multiculturalità attraverso la musica dei suoi popoli: quella dei cori femminili musulmani, della tradizione ortodossa, fino al punk dei Sikter che resisteva sotto una città in macerie. Sarajevo dimostrava di esistere da secoli come esempio di convivenza di culture e religioni diverse: Sarajevo era simbolo – per usare le parole della giornalista e testimone di quei giorni Vesna Andree Zaimovic – di una «Europa in un guscio».  

Il concerto degli U2 trovava recenti similitudini: qualche anno prima – nel 1990 – i Pink Floyd si erano riuniti a Postdamer Platz dopo la caduta del muro di Berlino per suonare di nuovo insieme The Wall, finalmente davanti alla Germania unita. Ancora per lanciare un messaggio politico, nel 1996 a San Francisco si era tenuto Free Tibet, un gigantesco festival ospitante i Red Hot Chili Peppers e i Foo Fighters. Nel 1988, a Wembley venne organizzato un concerto per la liberazione di Nelson Mandela. Ma l’impatto che il PopMart tour della band irlandese ebbe in quel momento per quella terra divisa è stato unico nel suo genere: era il culmine di un’esperienza che ricordava a quel popolo che era umano e che quello era un modo per sfidare l’eccidio.  

Kiss the future, o di quando gli U2 riunirono Sarajevo
Bono (U2) in una clip del film

Affrontando l’incubo di Sarajevo attraverso la musica, il documentario Kiss the future si afferma come promemoria indiscutibile dell’idealismo della musica rock, della sua forza trascinante, sempre giovane quanto ingenua. Il documentario – prima ancora di incontrare gli U2 – mostra uno scenario musicale clandestino ma inarrestabile: assistiamo alla formazione di gruppi rock e punk-rock nelle cantine di Sarajevo, a batteristi che legano la bacchetta al proprio moncone perché hanno perso l’avanbraccio in guerra, alle corse di chi sfida i cecchini per non rinunciare alla propria vita. E poi c’è Bono, anche lui con il suo idealismo, l’audacia delle sue scelte, a cui va il merito di aver tenuto alta l’attenzione di una guerra quando in Europa ci si girava dall’altra parte.  

F** the past, kiss the future! È l’iconica frase che Bono lanciò da palco nel 1997 e che segnò per Sarajevo la fine della guerra. Viene da chiedersi, oggi, che tipo di futuro si stava sognando: e come realizzarlo, mentre le immagini del più recente conflitto si sovrappongono a quelle di una città risorta.  

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