«La disinformazione si è da sempre mossa nel campo dell’influenza nei processi democratici ma oggi, dopo i due eventi della pandemia e della guerra ha assunto un ruolo ancora più visibile ed endemico». Dante Brandi, capo comunicazione del ministero degli Esteri ha iniziato così il suo intervento durante l’evento di Media Literacy, organizzato da Idmo in collaborazione con l’Università Luiss. «La disinformazione è sempre esistita, la disinformazione ostile anche. Prima della pandemia e della guerra era un’arma usata a livello ibrido per influenzare i processi democratici all’interno di società liberali, democrazie occidentali, con effetti distorsivi. Abbiamo assistito a questi tentativi attuati da parte di attori ostili, come la Russia, in elezioni in Paesi importanti dell’occidente come, ad esempio, negli Stati Uniti con Trump o nelle elezioni per il parlamento europeo».
Questi due eventi, che hanno attirato l’attenzione dell’opinione pubblica, hanno evidenziato in maniera chiara quali possono essere le conseguenze della disinformazione sui cittadini. Proprio a seguito di questi due momenti chiave è diventato indispensabile lavorare per un coordinamento a livello internazionale che rendesse più controllabile questi processi di manipolazione delle informazioni, cercando di arrivare ad una vera e propria regolamentazione degli spazi digitali. «Da quando è scoppiata la guerra» – continua il dottor Brandi – «Ci sono stati dei coordinamenti internazionali molto frequenti, in certi casi addirittura 2 volte a settimana, anche molto brevi (mezz’ora, 20 minuti) e su vari livelli. Tutto questo con lo scopo di scambiarci informazioni su quali narrazioni la Russia sta usando nelle rispettive infosfere». Questa collaborazione si è resa necessaria, soprattutto in una situazione di guerra combattuta da un attore particolarmente capace di usare la disinformazione e la manipolazione informativa a scopi per i propri obiettivi (tattici, strategici, bellici, militari) come la Russia.
Eppure, il dottor Brandi sottolinea come non sia la Russia il Paese che più li preoccupa. «Nel lungo termine dove vediamo un rischio maggiore e una maggiore difficoltà al contrasto è sulla disinformazione cinese. Perché è una disinformazione che non ha obiettivo tattico. Certo, magari denigrare l’occidente ai propri fini per lo scopo di difendere la teoria della sovranità su Taiwan potrebbe esserlo, ma sul lungo termine è una guerra di modelli economici. Le motivazioni e le impostazioni della propaganda cinese sono più di lungo termine, più in grado di manovrare diverse leve perché hanno tante risorse».
In questo processo di smascheramento delle fake news e svelamento di processi di disinformazione il governo ha assunto un ruolo importante, che si muove su più livelli e per diversi scopi. «Il ministero degli Esteri» – ha dichiarato Brandi a Zeta – «così come il ministero della Difesa, ha interesse a monitorare la disinformazione per prevenirla, per evitare che abbia effetti sull’ azione di politica estera o sull’ azione di politica internazionale. Infatti, misurare il grado di penetrazione di fake news e di disinformazione nell’infosfera istituzionale è un controllo che riguarda sia il grado di alfabetizzazione digitale, di discernimento delle notizie che si hanno in una società, sia l’effetto che questa disinformazione può provocare nei confronti di politiche pubbliche e nella proiezione internazionale di un Paese». In questo senso, la disinformazione che viene monitorata o contrastata da autorità governative è diversa dai processi di contrasto di disinformazione portati avanti da media indipendenti o da società di ricerca perché questi ultimi mirano a fornire all’opinione pubblica i mezzi di discernere le informazioni corrette e comprendere realmente la situazione. Dall’altra parte invece le istituzioni lavorano su un campo internazionale di gestione e risoluzione dei conflitti.
«Il de-bunking è un’azione fondamentale per la lotta alla disinformazione, ma ciò che è veramente rivoluzionario è il pre-bunking». Con questa affermazione rilasciata durante il suo intervento, Dante Brandi ha voluto sottolineare quanto la capacità di smascherare le false narrazioni, ancora prima che queste possano prendere piede, non neutralizzi il colpo rilasciato dall’arma della disinformazione ma annienti proprio l’arma in sé stessa. «Una dimostrazione l’abbiamo avuta con l’aggressione russa dell’Ucraina quando Stati Uniti e Regno Unito hanno diffuso da media internazionali indipendenti informazioni classificate per smascherare la preparazione alla guerra che stava compiendo il Cremlino e smontare ogni possibile giustificazione o pretesto che avrebbe potuto usare per giustificare un’aggressione».
«La speranza è che le lezioni apprese dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina ci servano anche per comprendere forme di manipolazione informativa di lungo termine, maggiormente strategiche, alle quali dovremo imparare a reagire con un orizzonte temporale più a lungo», ha concluso il capo della comunicazione del ministero degli Esteri.
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