La disinformazione è «un tema cruciale delle società moderne, che diventerà sempre più importante, ma che adesso ha una particolare focalizzazione. Ha una data chiave: il 24 febbraio. La disinformazione è un elemento cruciale delle guerre e, se le guerre sono lunghe, bisogna prepararsi ad attività asimmetriche. La disinformazione è un elemento importante delle attività asimmetriche. Il tema della disinformazione impatta sul futuro delle democrazie. La disinformazione è stata un elemento fondamentale dell’Unione Sovietica, prima, e della Russia, poi, c’è piena continuità»: così Marco Minniti, presidente dalla fondazione MEDOR, spiega la rilevanza della disinformazione in apertura di Reshaping Infosphere. «Perché si possono destabilizzare le democrazie? Perché nelle democrazie si vota e c’è un’opinione pubblica. Da qui la centralità delle fake news e della disinformazione».
L’evento annuale dell’Italian Digital Media Observatory sul rimodellare l’infosfera si è tenuto venerdì 10 marzo nell’aula magna della sede Luiss di viale Pola. Con il pubblico presente in sala, Minniti ha condiviso un evento del suo passato per sottolineare il concetto con cui ha iniziato. Ha raccontato che anni fa partecipò al movimento europeo contro gli euromissili che il presidente statunitense Raegan voleva installare in Europa per difenderla dall’Unione Sovietica e che si sentiva rappresentato dai generali della pace, alcuni geniali Nato che tenevano conferenze contro gli euromissili, spiegando che erano una prevaricazione americana, aveva anche molto apprezzato una loro foto in cui liberavano una colomba: anni dopo, ha scoperto che quello scatto era stato fatto dal Kgb. «Passano gli anni, ma gli argomenti della disinformazione sono sempre gli stessi».
«Se si preannuncia una guerra lunga, bisogna comprendere cosa ci ha in mente quella parte del mondo perché i russi non credono di star perdendo e puntano a una guerra lunga». Minniti consiglia di analizzare i discorsi di Putin all’inizio della guerra e quello tenuto per l’anniversario, focalizzandosi sullo slittamento semantico che c’è stato: un anno fa, era una “operazione militare speciale”, ossia un’attività che deve essere rapida, adesso è una “guerra di resistenza contro l’aggressore occidentale”, ossia un conflitto che non ha una durata stabilita. Inoltre, ritiene importante che sulla disinformazione ci sia «un’attività di controllo il più possibile aperta».
In conclusione, Minniti ha menzionato le macchine e lo sviluppo tecnologico: «Anche la macchina più raffinata non può pensare nemmeno per un attimo di guidare l’uomo. Perché? Per una ragione semplicissima: per quanto possa essere raffinata la macchina, alla macchina manca una cosa, che si chiama sentimento. E il sentimento è una componente essenziale dell’intelligenza».
A seguire, Simona De Rosa, co-fondatrice T6, ha moderato il panel Un approccio sistematico al contrasto della disinformazione: il ruolo del multi stakeholder dialogue.
Il primo a intervenire è stato Alberto Barachini, sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega all’informazione e all’editoria, che ha complimentato l’intervento di Minniti: «Il valore della mediazione umana è stata la parte più importante del discorso». Ha sostenuto che «l’informazione è strategica» e «se noi sosteniamo il mondo dell’informazione, l’informazione deve sostenere quel mondo». Per il sottosegretario, i giornalisti devono vedere il medio-termine, invece di concentrarsi sul breve termine, e consiglia di fare degli sforzi e rallentare, invece di andare sempre così veloci come il mondo digitale spinge a fare. «Dobbiamo lavorare a dare al mondo digitale un supporto normativo e regolatorio che fino a ora non c’è stato, vale in parte per le piattaforme, vale moltissimo per le realtà editoriali digitali».
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Sul mondo digitale, ha preso la parola Angelo Mazzetti, responsabile relazioni istituzionali di Meta Italia, Grecia, Malta e Cipro, sottolineando la necessità di un «delicatissimo bilanciamento di due diritti che sono in contrasto tra loro: libertà di espressione e diritto alla sicurezza degli utenti».
Ha evidenziato che «a questo punto di maturità del dibattito, è chiaro che le piattaforme digitali, sicuramente Meta, non traggono alcun vantaggio», al contrario di quanti possano credere che i contenuti falsi o polarizzanti non vengano rimossi perché generano engagement. «Per il 98%, i servizi di Meta vivono di pubblicità e i pubblicitari non vogliono associare il proprio brand a contenuti dannosi o falsi. Abbiamo investito in sicurezza più di quanto twitter abbia generato in revenues l’anno scorso. I contenuti dannosi rendono l’ambiente poco sicuro: un utente che usa un servizio che si basa sulla condivisione e non si sente libero di condividere, perché non si sente sicuro, se ne andrà».