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Esclusiva

Marzo 21 2023
Oh, ineffabile allegrezza! La dolce sinfonia del Paradiso

Nel Paradiso dantesco, la percezione sensoriale della musica è elemento fondamentale per l’elevazione del poeta alla comprensione della parola divina

Quando, nel 1986, il poeta Edoardo Sanguineti presentava la sua personale lettura del paesaggio sonoro interno alla Commedia dantesca, il periodo era propizio di studi impegnati nella ricostruzione delle concrete esperienze d’ascolto trecentesche del Sommo poeta, e nel trovare tale riflesso nelle sue terzine. A lungo si è parlato del caos sonoro dell’Inferno – urla, grida, rumori più che suoni – e della bellezza monodica del Purgatorio – il canto del poeta e amico Casella: in questo contesto, il Paradiso è il luogo della polifonia, di una musica, dunque, nuova e più complessa – poiché dettata dall’incrocio di più voci, e quindi difficilmente memorizzabile – delle espressioni precedenti. La complessità risponde all’ovvio ingresso di Dante nel regno dei Cieli, luogo di conoscenza superiore a quella umana: ciò che cambia, tuttavia, nel modo in cui il poeta utilizza la musica tra la seconda e la terza cantica, è il modo in cui di quella musica parla.  

Suoni, danze, canti: l’esperienza della musica nel Paradiso viene descritta solo attraverso come lui, Dante, la sente. Perché la percezione sensoriale, in quest’ultima cantica, diventa fondamentale nel percorso dantesco: entrando in una nuova sfera di conoscenza (quella divina, dove tempo e spazio sono altro), le varie esperienze di ascolto nei Cieli sono destinate a delineare un progressivo avvicinamento alla parola ineffabile della divinità. Il percorso dell’anima dantesca in Paradiso comincia perciò con l’incapacità del poeta di ridire ciò che sente, né di stargli appresso con la memoria. Sono le prime parole del primo canto del Paradiso: «Nel ciel che più de la sua luce prende / Fu’ io, e vidi cose che ridire / né sa ne può chi di là su discende; perché appressando sé al suo disire / nostro intelletto si profonda tanto, / che dietro la memoria non può ire». La novità del sono dei primi passi che muove nei nuovi Cieli, da Dante non può essere dunque riportato in altro modo.  

Oh, ineffabile allegrezza! La dolce sinfonia del Paradiso
La Divina Commedia nelle celebri illustrazioni di Gustav Dorè

Delle danze della ghirlanda dei sapienti, del Te deum polifonico, il poeta non memorizza neppure una parola: si limita a percepire una dolcezza musicale, un’armonia ancora ineffabile per chi «non è salito colà dove gioir s’insempra». È nel Cielo della musica che si registra la prima svolta: Dante ode di un inno le prime parole di senso compiuto, ma ancora non intende il loro significato. Vi riuscirà solo più avanti, quando davanti ai suoi occhi, nel sesto cielo, comprende e memorizza il diligite iustitiam nell’immagine dell’aquila disegnata dai sapienti: è significativo che la comprensione di un canto celeste avvenga prima per via intellettiva che per via sensoriale – fa notare nei suoi studi il musicologo Antonio Rostagno – poiché così Dante ci fa capire che non siamo ancora arrivati a compiuta maturazione e possesso della percezione sensoriale.  

L’illuminazione è però vicina: è il Gloria collettivo del venticinquesimo canto, intonato da due milizie celesti. Il senso dell’udito è ora talmente sviluppato che Dante lo sente e lo riporta in volgare: è la vera conclusione del percorso musicale dantesco, fermato nella ferrea esultazione di «Oh ineffabile allegrezza!» Il Gloria, un canto di lode tra i più noti agli uomini: così la maturazione dell’udito si accompagna ai fondamenti di uguaglianza universale secondo Dante. E ciò che è mutato non è il canto, ma la capacità ci percezione e di comprensione: il senso uditivo, ora maturo, può lasciare spazio al vedere oltre l’umano limite. Dante è giunto al trentatreesimo canto, ormai in una dimensione al di là del tempo e dello spazio: l’anima del poeta è finalmente pronta ad accogliere l’amore e la bellezza divina, in armonica congiunzione tra senso e intelletto.  

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