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Esclusiva

Aprile 7 2023
Quando l’ecumenismo religioso diventa pratica attiva

Secondo Guido Dotti, monaco di Bose, l’unità delle diverse comunità è il futuro del cristianesimo. Il movimento ecumenico, però, deve essere capace di aperture formali

Che momento sta attraversando l’ecumenismo religioso? Sorride Guido Dotti, monaco della comunità di Bose, nel rispondere che il movimento che unisce le diverse chiese cristiane si trova a vivere «un momento non facile». Del resto «nella sua storia l’ecumenismo non ha mai conosciuto periodi particolarmente favorevoli». La differenza contemporanea sta piuttosto nell’estensione mondiale che ha ormai conquistato, che costringe chi si fa promotore dell’unione tra i cristiani a fare i conti con le situazioni di conflitto che segnano il mondo.

Questa crisi perpetua, però, non dice niente riguardo il futuro dell’ecumenismo. Anzi. Il mondo religioso va verso un’unità che, secondo Dotti, è inevitabile. «Si sta perdendo, soprattutto in Italia, la commistione che c’è sempre stata tra cristianità e socialità, questo porterà naturalmente le chiese a unirsi». La loro divisione, del resto, è percepita più internamente che dall’esterno. «Lo si vede bene dove i cristiani sono perseguitati. È in quei luoghi che le diverse comunità insistono meno sulle proprie differenze. Lì e nella realizzazione delle opere di carità. Questi contesti aiutano ad affermare un’identità che è prima cristiana e poi confessionale».

Superando la complessità teologica l’ecumenismo si può ridurre proprio a questo, alla semplicità di una domanda che trascende il problema dell’incontro tra i cristiani e riguarda, in generale, quello tra tutte le diversità. «Si tratta di decidere se la nostra identità viene ampliata, persino costruita, dall’incontro con l’altro, oppure se da questo incontro viene messa in pericolo».

Nel caso dei cristiani l’unione è facilitata dall’origine comune, temporale e dottrinale, che si fa concreta e attuale anche nell’esperienza delle comunità ecumeniche. Come Bose, la congregazione fondata da Enzo Bianchi nel 1965, di cui Guido Dotti fa parte. La comunità che si è andata formando intorno alla piccola cascina situata nel comune di Magnano, è sempre stata composta da «fratelli e sorelle appartenenti a diverse chiese cristiane». I momenti di preghiera sono stati costruiti di conseguenza, adattando la preghiera ordinaria a un modello comune. Ma non c’è stata difficoltà. «L’importante è stato ed è far riferimento alla parola di Dio, averla come fonte, risalire ad essa come punto sorgivo. Si è solo fatto lo sforzo di comprendere che la tradizione dell’altro è un modo diverso di rimanere fedele al vangelo».

È fondamentale, però, che il futuro ecumenico della cristianità non si riduca a un inevitabile decorso ma che il suo tragitto da un certo punto di vista necessario sia visto come un’opportunità. «Le condizioni esterne obbligano a fare quello che le diverse fedi avrebbero dovuto già fare spontaneamente».

Dall’unità visibile i cristiani hanno da guadagnare la credibilità del messaggio che vogliono far arrivare all’esterno. Non è un caso che il movimento ecumenico sia nato proprio dalle contraddizioni in terra missionaria, quando diverse congregazioni si trovavano in competizione tra loro nel promuovere il proprio messaggio evangelico depotenziandolo agli occhi di coloro che avrebbero dovuto riceverlo.

In generale, però, bisogna che «l’ecumenismo non rimanga una nicchia di addetti ai lavori, ma che diventi un modo di porsi. Che non sia una materia tra tante. È importante poi, che i rapporti tra i singoli che promuovono il movimento si trasformino in rapporti tra le comunità».

Un tempo a spingere questo percorso c’erano figure carismatiche, persone che «andavano controcorrente ma erano spinte da un’intima convinzione». Oggi, ammette Guido Dotti, questa particolarità si sta perdendo, ma il monaco dichiara una certezza. «La vita è più forte». La nostra società non è mai stata così multiculturale, la presenza di chiese diverse è cresciuta sul territorio italiano. «La quotidianità del reale contribuirà a restituire al vissuto ordinario qualcosa che avrebbe dovuto sempre esserne parte. L’ecumenismo non è mai appartenuto alle accademie».

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