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Esclusiva

Gennaio 17 2023
Oltre alle esultanze serve l’impegno quotidiano

Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera contro le mafie, parla a Zeta del perché l’eccezionalità di un risultato non deve distogliere l’attenzione dall’importanza del lavoro di tutti i giorni

«Il riconoscimento alle forze dell’ordine è giusto e doveroso. Mi preoccupa, però, rivedere le stesse scene di quando fu arrestato Totò Riina e poi ancora di quando fu arrestato Provenzano. Mi preoccupa l’unanime plauso dei politici in questo senso, non vorrei che si ripetessero anche gli errori commessi in passato, perché le mafie non sono riconducibili ai loro capi. Non lo sono mai state e oggi lo sono ancora meno».

Parlando a Zeta don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, si riferisce alla fisiologica corsa alla dichiarazione che ha impegnato i diversi esponenti politici italiani a seguito della cattura di Matteo Messina Denaro, ultimo esponente della mafia stragista.

Tra questi la presidente del Consiglio Giorgia Meloni che annuncia via Twitter «una grande vittoria dello Stato che dimostra di non arrendersi di fronte alla mafia. All’indomani dell’anniversario dell’arresto di Totò Riina, un altro capo della criminalità organizzata, Matteo Messina Denaro, viene assicurato alla giustizia», e l’attuale segretario del Pd Enrico Letta che comunica i suoi «Complimenti alle forze dell’ordine, alla magistratura e a tutti coloro che hanno reso possibile la cattura di Matteo Messina Denaro. La #mafia alla fine perde sempre»,

Il giorno dopo l’evento eccezionale don Ciotti riporta l’attenzione sulla natura della mafia attuale, frutto di un’evoluzione di cui proprio il boss trapanese può essere considerato uno degli autori. «Matteo Messina Denaro è l’ultimo esponente del periodo stragista della mafia siciliana, ma è anche quello che l’ha trasformata in un’organizzazione imprenditrice e tecnologica». L’antimafia, a livello sociale e politico, deve tener conto di questo mutamento. È importante perché «Cosa nostra è certamente indebolita, ma non è sconfitta. Si rigenera. Non possiamo dimenticare che l’ultima mafia è sempre la penultima, fin dalla sua creazione un imperativo primario è quello di sopravvivere».

Così si ritorna al motivo per cui le esultanze politiche di ieri «spaventano». Perché la sensazione è che non corrispondano a un impegno quotidiano, all’unico tipo di azione davvero efficace. «Nella campagna elettorale pochissimi hanno parlato dell’impegno contro la corruzione e le mafie. Oggi c’è questa enfasi. Ma attenzione, attenzione».

Alla stagione delle stragi ha corrisposto un periodo di grande partecipazione civile. «Le manifestazioni, le reazioni, la risposta delle persone che sono sorte in quel periodo si sono perse con il tempo. Si è tornati molto indietro». Questo non significa che nel mondo dell’antimafia ci sia il vuoto. Il movimento contro le mafie si alimenta dell’impegno associativo, di cittadine e cittadine che si spendono ogni giorno. Rimane, però, secondo don Ciotti, il fatto che in Italia siamo passati dal «crimine organizzato al crimine normalizzato». Nella loro trasformazione i boss si sono fatti manager e su questo la politica non vigila abbastanza.

«Noi parliamo della Sicilia, ma oggi gli affari e la ricchezza della mafia sono a Nord. C’è bisogno di una lettura più ampia del fenomeno mafioso, una lettura transnazionale. Invece nel paese si torna indietro, si normalizza, si sottovaluta».

Di fronte alla normalizzazione del funzionamento del crimine organizzato l’unica risposta possibile dell’antimafia è «continuare a fare la propria parte». Un proposito la cui banalità è solo apparente, perché la formula si concretizza nell’impegno su alcune delle problematiche più urgenti dei nostri tempi. «Lotta alle mafie significa cultura, scuola, servizi per le persone, lavoro. Ci devono essere una giustizia sociale e una tensione alla giustizia ambientale. Perché le mafie hanno inquinato la vita delle persone come quella dell’ambiente». Tutti devono essere coinvolti in questo impegno, nessuno è escluso. Politici e cittadini devono «sentire la corresponsabilità», che per la popolazione significa «collaborare con le istituzioni quando fanno le cose giuste, le cose autentiche. Se non fanno questo dobbiamo alzare la voce, essere una spina sul fianco».

Le istituzioni, dal canto loro, devono intraprendere azioni per integrare le carenze attuali nella lotta alle mafie: «migliorare gli strumenti, le tecnologie insufficienti, le leggi». Serve che le parole si trasformino in fatti. Anche se sarebbe meglio «vedere prima i fatti e solo in seguito sentire i grandi annunci».

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