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Esclusiva

Aprile 7 2023
Quell’Oasi di Pace in Israele luogo di convivenza

Nella terra da decenni divisa dal conflitto, ebrei e palestinesi coabitano in maniera pacifica

«Ho deciso di venire a vivere in questo villaggio 21 anni fa perché volevo qualcosa di diverso per i miei figli». A parlare è Samah Salaime, abitante dell’Oasi di Pace. «Già dal nome si capisce su quali basi si fonda questo luogo: Wahat al-Salam – Neve Shalom è un nome doppio, in arabo ed ebraico, che significa proprio “oasi di pace» ha raccontato Giulia Ceccutti, membro del consiglio direttivo dell’Associazione Italiana Amici di Neve Shalom- Wahat al-Salam, che da qui sostiene e cerca di far conoscere questa realtà. 

Wahat al-Salam – Neve Shalom è un villaggio situato su una collina circondata dalla valle di Ayalon in cui convivono pacificamente ebrei e palestinesi. Questo villaggio, situato in Israele, è la sola comunità che esiste oggi in cui ebrei e palestinesi, tutti di cittadinanza israeliana, vivono insieme per scelta e in armonia.

Fondato all’inizio degli anni ’70 dall’intuizione di Bruno Hussar, padre domenicano di origine ebraica, rappresenta tutt’oggi un modello di pacifica convivenza tra questi due popoli in guerra da decenni, nonché la dimostrazione che un’alternativa è possibile.

Quell'Oasi di Pace in Israele luogo di convivenza
Veduta del villaggio

«Padre Hussar aveva questo sogno: dar vita a un luogo che fosse una scuola per la pace e che avesse anche un taglio di carattere religioso. Un luogo di convivenza delle tre grandi religioni: cristianesimo, ebraismo e islam», racconta Giulia. «Il padre domenicano è riuscito ad ottenere una terra dal monastero di Latrun che si trova lì di fianco. La sua idea è stata seguita da alcune coppie, ebree e palestinesi, che hanno iniziato a vivere insieme su questa collina. Era un luogo in cui non c’era nulla, all’inizio hanno costruito loro tutto: la strada, le fognature, le condutture elettriche, la rete idrica». Oggi l’Oasi di Pace è come un grosso paese, che si trova equidistante da Gerusalemme e da Tel Aviv, amministrato da una sindaca araba e composto da un’ottantina di famiglie. Esiste una lista d’attesa piuttosto lunga di famiglie che si vorrebbero trasferire lì, per cui è nato un piano di espansione. 

«Il motivo per cui io e mio marito ci siamo trasferiti qui è che abbiamo cercato qualcosa di diverso per i nostri figli, non volevamo dovessero conoscere il razzismo e la segregazione in cui siamo cresciuti noi. Mio marito ha sentito parlare di questo villaggio e della scuola mista, ai tempi noi stavamo cercando un’alternativa educativa per il nostro primo figlio. Così ci siamo incuriositi e abbiamo deciso di andare a visitare il villaggio. Ci è piaciuto molto, ci sembrava che le persone fossero felici lì, quindi ci siamo trasferiti. Il mio secondo e terzo figlio sono nati lì. Poi dopo un po’ di tempo siamo diventati veramente attivi nella comunità». Questa è la storia di Samah, una donna palestinese che ha vissuto sulla sua pelle e quella della sua famiglia l’occupazione. Sono ormai 21 anni che Samah vive nell’Oasi con suo marito e i suoi tre figli. 

«All’interno del villaggio e in tutte le istituzioni che ne fanno parte è molto importante che ebrei e arabi siano presenti in numero uguale», continua Giulia Ceccutti, che sottolinea come le istituzioni educative che si trovano all’interno del villaggio rispecchino in tutto e per tutto gli ideali su cui è fondata la comunità. 

«All’interno del villaggio vi è un solo luogo di culto: è una cupola circolare che si chiama Dumia-Sakinah e significa “la casa del silenzio”. È uno spazio privo di simboli religiosi, dedicato al silenzio come linguaggio universale per tutte le fedi e anche per chi non professa alcuna religione». Un’altra delle istituzioni di cui l’Oasi si è fatta pioniera è la scuola bilingue e binazionale, in cui i bambini ebrei e palestinesi, che sono sempre in numero uguale, imparano a scrivere e a parlare in entrambe le lingue. «Il fatto di sapersi esprimere bene nella lingua dell’altro e di capirlo è proprio il primo passo per conoscerlo e per, un domani, costruire un dialogo che sia alla pari». Un altro luogo centrale per la comunità è la Scuola per la pace, uno spazio in cui si svolgono attività, laboratori e il cui scopo è affrontare qualunque conflitto attraverso il dialogo e la reciproca comprensione.

Quell'Oasi di Pace in Israele luogo di convivenza
Dumia-Sakinah – la casa del silenzio

«Ci sono stati momenti di tensione ma sono durati poco, perché il nostro metodo è discutere dei conflitti interni, cercando di mantenere sempre un equilibrio» ha raccontato Samah. 

«Si chiama Oasi di Pace ma in realtà è una comunità fortemente calata nel conflitto israelo-palestinese e ci sono anche conflitti quotidiani, complice anche il fatto che è una comunità piccola» – ha continuato Giulia – «Quindi sì, i conflitti interni ci sono. Uno dei momenti più difficili negli ultimi anni è stato durante l’ultima guerra a Gaza nel 2021, perché chiaramente, pur essendo tutti contro quella guerra, era ovviamente vissuta in modo diverso da parte degli ebrei e dei palestinesi. Però tutti i conflitti si cerca di affrontarli con il dialogo».

Inoltre, il villaggio è stato periodicamente attaccato negli anni e in vari modi. Sia con atti vandalici, come scritte offensive contro i palestinesi o gomme bucate, ma l’episodio più grave è stato quando hanno dato fuoco alla Scuola per la pace nel 2020. In questo incendio, in cui non ci sono stati feriti, l’edificio principale è stato distrutto completamente.

Quell'Oasi di Pace in Israele luogo di convivenza
Due bambine della scuola primaria binazionale

«Ci sono altre città miste, come Tel Aviv o Gerusalemme, ma questo villaggio è un modello perché è unico: qui le persone hanno scelto liberamente di venire a vivere in una comunità fondata su un certo tipo di principi». Samah parla con orgoglio della sua scelta e del suo villaggio. «È stato un progetto innovativo e molto coraggioso, soprattutto perché è stato creato più di 40 anni fa. In realtà ad oggi sono molte le persone che vorrebbero replicare questo modello e costruire altri villaggi come questo, ma il governo israeliano glielo impedisce. Noi siamo la prima e l’unica (almeno per ora) comunità di questo tipo e siamo fortunati ad avere una terra che ci ha dato il monastero, altrimenti anche noi probabilmente non esisteremmo oggi.

Penso ci vorranno molti anni prima che questo modello possa diventare realtà per tutto il territorio di Israele-Palestina, ma che un giorno, quando cambierà il regime, l’Oasi potrà essere replicata e diventare l’inizio di una nuova pace. Credo sia l’unico modo in cui si possa vivere: in pace, in uguaglianza, all’interno di uno stato democratico fondato sul rispetto e la comprensione reciproca. È sicuramente difficile come progetto ma bisogna crederci e quando il popolo sarà pronto potrà succedere. Noi che viviamo qui siamo persone normali, così come le persone fuori, se lo abbiamo fatto noi lo possono fare tutti».

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