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Esclusiva

Aprile 23 2023
Alla ricerca degli arcobaleni

Quando un figlio non arriva: il viaggio di Veronica Calilli e Juan Surraco nella procreazione medicalmente assistita

Gli occhi scuri della piccola Sol, le guance arrossate dalle fredde folate di vento, osservano con meraviglia le lancette dorate dell’orologio astronomico nel centro di Praga. Il tempo misura la felicità della bambina, appartata nel passeggino dopo giorni di favole senza né principi né principesse, ma intessute di onde di scivoli colorati, carillon di giostre scintillanti, boccioli di fiori tropicali e danze di animali esotici. A soli due anni e mezzo il viaggio in macchina dall’Italia alla Repubblica Ceca per realizzare il sogno di avere un fratellino o una sorellina, finora nascosto nel fagotto di una cicogna maldestra, stupisce come un giro sulla ruota panoramica. Mamma Veronica Calilli e papà Juan Surraco hanno comprato il biglietto per l’attrazione della procreazione medicalmente assistita, che oscilla tra intense boccate d’aria in cima e brusche discese nell’oscurità. «Una donna che intraprende questo percorso non è incinta solo per nove mesi, ma per anni, perché tutto ha inizio molto prima della gravidanza» spiega Veronica. «Prima di afferrare gli arcobaleni, cioè i nostri quattro figli, io e mio marito abbiamo vissuto grandi avventure ostacolate da tempeste e mari in burrasca. Non è stata una passeggiata, ma dopo ogni caduta ci siamo rialzati e ora, grazie ai sorrisi di Sol e degli ultimi arrivati, i tre gemelli Celeste, Elvis e Miguel, abbiamo raggiunto la nostra armonia familiare».

Il primo incontro tra Veronica, istruttrice torinese di subacquea sotto il sole di Sharm El-Sheik, e Juan, calciatore uruguayano nella squadra del Torino, è avvenuto dieci anni fa in una festa all’ombra della Mole Antonelliana. Rincasata tra le acque della barriera corallina, Veronica ha rigettato la prospettiva di una vita solitaria, perché «io e Juan ci siamo resi conto che insieme stavamo molto bene, e io ho sempre desiderato una famiglia, il che non significa necessariamente avere bambini, ma anche un animale, amici, un compagno, insomma un amore che ti circonda». Da lì la scelta di accorciare le distanze e di convivere prima in Italia e poi in Uruguay. Oltreoceano, però, gli ingranaggi della coppia hanno scricchiolato e la separazione ha riportato Veronica nella terra delle piramidi, finché Juan non le ha proposto con un anello di trascorrere la vita insieme. Volata tra i vicoli barocchi di Lecce, la giovane coppia ha espresso il desiderio di allargare la famiglia: «Abbiamo tentato il concepimento naturale per quattro anni, ma nessun tentativo ha funzionato. Prima eravamo ragazzini, non ci davamo troppo peso perché eravamo convinti che un figlio sarebbe arrivato, ma dopo abbiamo drizzato le antenne. Da allora, la vita ci ha messi a dura prova».

procreazione medicalmente assistita
La famiglia Surraco – © Instagram @_veronicalilli_

Nonostante le prime visite e i primi accertamenti abbiano lasciato Veronica e Juan senza risposte, «non ci siamo abbattuti nemmeno nei momenti di sconforto, perché non abbiamo mai smesso di sperare. Juan, poi, mi ha sempre sostenuta con le parole giuste». A Firenze i futuri genitori hanno intrapreso una strada tortuosa, fatta di tornanti di pastiglie per le cure ormonali e di impervi terreni di inseminazione intrauterina, una tecnica che consiste «nel prelievo e nel successivo inserimento dello sperma nel corpo della donna con l’aiuto di un piccolo catetere, per favorire l’approdo del seme nella “casa del bambino”», ma in entrambi i casi, «ovviamente, nebbia in Val Padana». Così, «ci siamo catapultati nel tunnel della fecondazione assistita» con la tecnica della fecondazione in vitro, che per stimolare la produzione di ovociti richiede «innumerevoli punture, una costante assimilazione di ormoni e continui esami del sangue». L’incontro tra l’ovulo e lo spermatozoo avviene poi all’esterno dell’utero, e dal successivo trasferimento nel corpo della donna dell’embrione allo stadio di blastocisti, definita da Veronica «un fagiolino che ha una manina per aggrapparsi a te», decorrono quattordici giorni di attesa, «come se arrivasse la luce eterna dal cielo, per la chiamata che confermerà o meno la gravidanza».

La vita può fare capolino tra le crepe dell’asfalto, tra le fessure dei ghiacciai, e anche dallo squillo di un telefono. Nel ricordare il momento della scoperta di essere mamma di Sol, la voce allegra di Veronica trema, le lacrime offuscano gli occhi azzurri e un riso nervoso si infrange tra le labbra. «Ero incredula. Non si può spiegare, è un’emozione indicibile, chi non lo vive non può saperlo» racconta. «Il percorso per raggiungere il risultato è allucinante, e molte donne non riescono ad affrontarlo fino in fondo perché la fatica è infinita. Diventi un colabrodo, non solo a livello fisico per le quotidiane punture a intermittenza nella pancia e nel sedere, ma anche a livello psicologico per l’effetto degli ormoni. Molte coppie si separano perché non riescono a sopportare il dolore».

procreazione medicalmente assistita
La famiglia Surraco – © Instagram @_veronicalilli_

Dopo l’arrivo del raggio di sole, due ombre hanno però offuscato l’entusiasmo dei neogenitori: prima l’insuccesso di un nuovo transfer, «un camion in faccia che non ci aspettavamo, perché con la nostra prima figlia era andato tutto liscio», poi la perdita di due gemelli. «Una donna Pma, però, cade e si rialza. Ho cercato subito un piano B, ma la dottoressa che mi aveva seguita non ha mostrato disponibilità. Mi sono sentita abbandonata e mi sono arrabbiata con me stessa per aver dato la mia vita in mano a chi mi stava trattando solo come un numero». Con pazienza, però, la sconfitta si è trasformata in una vittoria. In una nuova struttura a Bologna, Veronica ha ricevuto l’attesa diagnosi della scarsa qualità degli ovuli, «tipica di una menopausa precoce. Posso rimanere incinta naturalmente, ma è un evento raro come scovare il numero fortunato al gratta e vinci», mentre in una clinica di fecondazione assistita a Praga, ha cercato con Juan un altro figlio.

«Quanti ne volevate?». L’ecografia ha svelato in grembo non una sola creatura, ma tre. Juan, incredulo, ha tirato giù il cappellino dalla testa. Veronica, invece, aveva presagito le imprevedibilità del calcolo delle probabilità. La terapia intensiva ha però assorbito i primi vagiti dei gemelli Celeste, Elvis e Miguel, nati prematuri. «Non è stato semplice vedere la parte più importante di noi attaccata alle macchine, sentire l’incessante suono dei monitor, avere paura di tutto» racconta Veronica. Oggi, nella casa di Pistoia, la musica rallegra le giornate e la famiglia sorride. «I gemelli hanno riempito la vita di Sol, che è una splendida sorella maggiore e una grande aiutante. La bambina non vede l’ora di partire a bordo del van Celestino per giocare sulla spiaggia o nel parco di divertimenti di Disneyland con noi, i piccoli e il nostro cagnolone Shark».

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