Esclusiva

Dicembre 29 2023
Per chi batte quel cuore?

Fare ascoltare alle donne il battito del cuore del feto? Politica e demagogia su un referendum

Sono 106.000 le firme depositate per cambiare la 194, storica legge sull’aborto, ottenuta con sacrificio e lotte femministe. Secondo la petizione “Un cuore che batte” i medici che praticano l’interruzione di gravidanza dovrebbero far sentire il battito cardiaco alla paziente. Una scelta che non ha nessun risconto scientifico. A giudizio dell’American College for Obstetricians and Gynecologists (Acog) infatti il termine “battito cardiaco fetale” non è accurato dal punto di vista medico.


Sul tema Zeta ha intervistato la ginecologa Marina Toschi, membro della rete Pro-choice/RICA: «Su questa fake news le associazioni antiabortiste vogliono basare un referendum popolare, entrando nel rapporto medico-paziente. Da ginecologa non posso essere obbligata da una legge, soprattutto perché gli ultrasuoni utilizzati all’interno della pancia sono dannosi per l’embrione. Dal punto di vista medico non ha rilevanza far sentire il cuore, se non per far soffrire una donna. Inoltre, nelle prime sei settimane non si vede e non si sente nulla. Lo scopo quindi è rendere sempre più difficile l’applicazione della legge 194»
 
La dottoressa Toschi parla anche di scorretto uso delle parole, per minare la psiche di una paziente: «È scorretto nel linguaggio medico chiamarlo “feto” poiché nelle prime dodici settimane si ha solo un embrione. Il battito del bambino non c’è, perché non c’è bambino. È solo l’inizio di un abbozzo cardiaco che si sente in maniera ritmica. Quindi a livello embriologico non stiamo parlando di un vero organo. Cerchiamo di usare termini corretti, senza distorcere la realtà, perché così facendo si spinge una persona a prendere una decisione piuttosto che un’altra».
 
Sul tema è intervenuta anche la psicologa e psicoterapeuta, fondatrice della piattaforma “IVG – sto benissimo“, Federica Di Martino: «Un cuore che batte” è una proposta ideologica che mira ad alimentare lo stigma, la colpa e la vergogna sulle donne che scelgono in maniera consapevole di abortire. Un elemento di violenza che si aggiunge a quelli che troviamo in molte strutture sanitarie e consultoriali».


Di Martino spiega che l’interruzione volontaria di gravidanza è pratica autorizzata per legge in numerosi paesi nel mondo, soprattutto in Occidente, a discrezione della donna e nei primi mesi della gestazione. Ci sono però paesi che continuano a lasciare la.sola opzione aborto clandestino: «La questione del battito fetale è importante nella legislazione sull’aborto a livello globale. Lo abbiamo visto lo scorso anno in Ungheria, dove è stata approvata una legge che obbliga l’ascolto del cuore del nascituro. Lo abbiamo visto negli Stati Uniti, dopo il ribaltamento della sentenza Roe vs Wade, dove diversi stati americani hanno adottato le cosiddette “Fetal Heartbeat Bill”, che vietano l’aborto nel momento in cui viene percepito il rumore di un cuore, intorno alle sesta settimana. Anche se in quell’età gestazionale quello che si sente è l’attività elettrica di un gruppo di cellule e non un cuore che batte. L’azione che viene portata avanti è la romanticizzazione del feto, i cui i diritti dovrebbero essere posti innanzi a quelli della persona incinta».
 
Nell’ultimo periodo si è dibattuto proprio di dotare il feto di personalità giuridica, soprattutto dopo il femminicidio di Vanessa Ballan, donna assassinata dal compagno, incinta di nove settimane. Si è avanzata così la proposta di duplice omicidio: «Tutto questo contribuisce a rendere il feto soggetto giuridico, e nei fatti annullerebbe il diritto di aborto» – spiega la psicologa Di Martino – «nell’attuale ordinamento il diritto prevalente è il diritto della donna rispetto all’embrione, che diventa soggetto giuridico al momento della nascita e non prima. Se la direzione prendesse una’altra piega il diritto d’aborto non ci sarebbe più, perchè sarebbero equiparati».
 
La questione rimane aperta, soprattutto quella di dotare il feto di personalità giuridica. L’avvocato Elisabetta Aldrovandi prova a fare chiarezza: «La legge 194 dà la possibilità di abortire fino al noventesino giorno di gravidanza per motivi di salute, economici, sociali o familiari. Le diatribe intorno a questa legge che sancisce un diritto inalienabile delle donne sorgono perché si discute sul concetto di “inizio vita”, che per alcuni sorge fin il concepimento. L’aborto, in realtà viene contrastato per motivi di coscienza da un lato e viene riconosciuto come diritto a prescindere dall’altro. Quanto a Vanessa e a casi simili, considerare duplice omicidio l’assassinio di una donna incinta che ancora è nel termine per abortire, e se in tale termine per legge il feto non viene considerato in “vita”, potrebbe creare un conflitto giuridico di non poco conto. E in ogni caso, per il principio del cumulo giuridico delle pene, probabilmente mantenere l’uccisione di una donna incinta, indipendentemente dallo stato della gravidanza, come aggravante, permetterebbe di applicare una pena più elevata in caso di condanna».

La comunità scientifica intanto non si è ancora fatta sentire contro la proposta “Un cuore che batte” volta a silenziare il diritto di autodeterminazione della donna. Ma nel frattempo Marina Toschi ci assicura: «Come medici abbiamo tantissimo da dire, spero quindi che la nostra professione sia in grado di replicare a questa petizione che non ha nessuna valenza scientifica».