Esclusiva

Marzo 23 2024
Metropoli e linguaggi a misura di donna

“Città e design di genere” è l’evento che si è tenuto a Roma per sensibilizzare l’inclusività femminile nel parlato e nell’urbanistica

Le città italiane non sono a misura di donna, lo dice una ragazza su due. Questi sono i dati che emergono dal sondaggio effettuato da Astra, istituto di ricerche, per conto dell’Osservatorio Cera di Cupra nel 2011.

Nel 2022 si pronuncia anche il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp), che parla di pianificazione delle aree urbane per avere un’uguaglianza di genere. La gran parte delle città, spiega l’Undp, “sono costruite da uomini, per uomini, con poca o nessuna considerazione per bisogni, aspirazioni o protezione di donne e ragazze”. A distanza di tempo il problema sussiste.

Il 22 marzo all’Europa Experience di Roma, in Piazza Venezia, si è riaperto questo grande tema durante il ciclo di incontri di ‘Donna immagine e città’, un’associazione che cerca di promuovere la parità di genere con eventi, podcast e manifestazioni. 

All’incontro intitolato “Città e design di genere. Linguaggio inclusivo” si è discusso di come i luoghi in cui si vive non rispecchiano le esigenze di gestione e sviluppo femminili. Emerge che le donne italiane vorrebbero più spazi di aggregazione a loro dedicati, più sicurezza nel camminare per strada, maggiore offerta di cultura e posti di svago. L’ambiente delle città sembra dunque ancora oggi non “promuovere” pari opportunità per tutti. 

L’architetta Soni R. Marino, mediatrice e organizzatrice dell’evento, spiega ciò che manca nel 2024: «Bisogna inglobare tutti nelle città, anche anziani e persone con disabilità. Partendo dal libro “La città femminista” di Leslie Kern è necessario ripensare alle strade in cui camminiamo ogni giorno, cercando di immedesimarci soprattutto in una donna». Continua: «La violenza di genere toglie il piacere e la sicurezza di passeggiare. La struttura urbanistica deve permettere alle ragazze di stare tranquille e parlare, ma anche ai vecchi di sentirsi a loro agio, o agli immigrati di prima generazione di essere protetti». 

All’architettura si aggiunge il design universale capace di rispondere al bisogno di tutti, anche se ancora oggi non è così. Il tema di un’architettura inclusiva, molto dibattuto in questi anni, incontra spesso il desiderio della comunità LGBTQIA+ di essere più rappresentata nell’ambito delle costruzioni e dell’arredamento. 

«Penso ai bagni genderless – dice Marino – che dovrebbero essere progettati e strutturati in una certa maniera per essere accessibili a tutti. Nei paesi scandinavi sono pensati per le persone che hanno problemi fisici ma anche percettivi, come i non vedenti che trovano le scritte in braille».

Questi sono posti che vanno al di là del concetto di orientamento sessuale, dando anche la possibilità, a chi ha un corpo in transizione, di sentirsi accettato. «Si parte quindi dalla questione di genere, ma in realtà si va oltre. Il design può aiutare, contribuendo a plasmare il comportamento e ad abbattere i pregiudizi». 

Barbara Negroni, assessora all’ambiente del comune di Casalecchio di Reno (BO), è intervenuta durante il pomeriggio per parlare del contributo che ha dato durante il suo mandato: «Le città urbanistiche di genere sono quelle che si creano andando oltre all’aspetto tecnico o alla progettazione del verde, concentrandosi su quello dell’accoglienza. Quindi – continua – non più spazi per uomini pensati in verticale, sintomo di un retaggio patriarcale, ma anche per le donne che si muovono in modo trasversale».

L’evento è stato occasione per trattare anche di linguaggio di genere, con un panel tutto dedicato, dove ad intervenire sono state quattro relatrici: la giornalista dell’Unione Sarda Maria Francesca Chiappe, la professoressa Sonia Maria Melchiorre dell’università della Tuscia, la ricercatrice Laura Caroleo, sociologa dei media, e la professoressa Fiorenza Taricone, professoressa presso l’università di Cassino in “Pensiero politico e questione femminile”. Tutte professioniste che si sono occupate nel corso della loro carriera di sensibilizzare su un linguaggio più inclusivo.

Caroleo per dimostrare che questo non è un mondo per tutti ha portato all’attenzione dei presenti due video di Tik Tok, che denunciano in maniera chiara situazioni di disagio che investono persone con disabilità fisiche: una donna in carrozzina su una scala mobile e un’altra curvy che deve prendere due posti in aereo, per non essere discriminata.

Questa realtà mette davanti a dei bias cognitivi e lessicali: «Le parole che usiamo – dice la sociologa – fanno capire quali sono le nostre intenzioni e quelle dei media. Abbiamo fatto passi avanti non usando più la parola “anormale/handicappato” ma “persone con disabilità fisica”. Purtroppo continuiamo ancora ad usufruire di scorciatoie, anche sui social, per portare avanti un linguaggio sessista, razzista ed omofobo come nel caso della parola “fr0c1o”».

La giornalista sarda Chiappe aggiunge: «E’ come se ci fosse un’insofferenza nel cambiare il linguaggio. Nel recente fatto di cronaca, che ha coinvolto una lavoratrice dell’A.S Roma licenziata per il video hard rubato dal suo telefono e diffuso da un calciatore, la parola “hard” ha attirato tutta l’attenzione, e ha posto in secondo piano il reato di revenge porn che era stato realizzato.

Inoltre conclude Chiappe: «Parole come “meno fortunati”, “mamme eroiche” o “fragili” per riferirci a delle categorie, non dovrebbero essere usate dai giornalisti. La comunicazione migliora se il linguaggio è contestualizzato e l’informazione è più diretta».