Esclusiva

Aprile 2 2024
Operatori uccisi a Gaza, «Portare aiuti è sempre più rischioso»

L’attacco sul convoglio umanitario ha indignato chi si batte per i diritti umani come il portavoce di Amnesty International Italia Riccardo Noury

Sono sette gli operatori della Ong statunitense World Central Kitchen (Wck) uccisi da un raid areo dell’esercito israeliano (Idf) nella Striscia di Gaza. L’organizzazione, che lavora con dipendenti e volontari da tutto il mondo, ha fatto sapere che le vittime provenivano da Polonia, Australia, Gran Bretagna e Palestina. C’è anche una persona con doppia cittadinanza statunitense e canadese. L’australiana Zomi Fankom e il polacco Damian Soból sono gli unici la cui identità è stata confermata.

«La squadra WCK stava viaggiando in una zona libera da conflitto a bordo di due auto blindate marchiate con il logo e di un veicolo non corazzato», sottolinea l’organizzazione ribadendo l’alta riconoscibilità dei propri dipendenti sul campo.

L’operazione umanitaria era stata anche coordinata con l’Idf, che però ha colpito il convoglio mentre lasciava il magazzino di Deir al-Balah, città al centro della Striscia, dopo aver scaricato oltre cento tonnellate di cibo arrivati attraverso il corridoio marittimo che collega Gaza a Cipro.

L’esercito israeliano ha fatto sapere che indagherà sulle cause di quello che viene definito un “incidente” attraverso il Meccanismo di inchiesta e valutazione dei Fatti, una task force professionale guidata da un generale dell’IDF, che però opera all’esterno della catena di comando.

«Questo non è solo un attacco contro Wck, è un attacco alle organizzazioni umanitarie», dice invece la Ceo Erin Gore. José Andres, chef molto famoso negli Stati Uniti e fondatore della Ong, ha dichiarato che «Israele deve smetterla di limitare gli aiuti e usare il cibo come arma». World Central Kitchen fa inoltre sapere che sospenderà le proprie attività sul posto.

«Ancora una volta l’esercito israeliano ha attaccato gli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza occupata», dice Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. Ad inizio marzo l’organizzazione per la difesa dei diritti umani ha partecipato ad una carovana solidale che ha raggiunto Rafah, al confine con l’Egitto, a cui avevano partecipato anche sedici parlamentari italiani.

Le immagini della chilometrica coda di veicoli posteggiati lungo la strada che porta al valico aveva causato indignazione. L’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (Unrwa) ha fatto sapere il 1 aprile che Israele ha fatto entrare una media di 159 camion nell’ultimo mese, «ben al di sotto delle necessità».

«La comunità internazionale deve pretendere che Israele consenta che gli aiuti umanitari entrino via terra senza alcun ostacolo né minaccia. Del resto, è quanto ha ordinato anche la Corte di giustizia internazionale», prosegue Noury, che ribadisce come oggi «portare aiuti umanitari a Gaza è sempre più rischioso: per chi cerca di consegnarli, per chi cerca di prenderli». «I lanci di pacchi dal cielo, oltre a causare morti tra chi cerca di recuperarli», conclude il portavoce di Amnesty, «sono anche un affronto all’aiuto umanitario, che dovrebbe essere portato nel rispetto della dignità e dei diritti di coloro che ne necessitano». Nell’ultimo mese cinque persone sono state schiacciate da lanci aerei difettosi, mentre il 26 marzo ne sarebbero morte diciotto nel tentativo di raggiungere pacchi paracadutati in acqua.