Esclusiva

Giugno 6 2024
Procaccini (Fratelli d’Italia):«Bisogna difendere il modello originario di un’Unione confederale»

Un soggetto politico europeo che non intacca la sovranità degli Stati nazionali: questo è l’auspicio del candidato di Fratelli d’Italia Nicola Procaccini

Nato nel 1976, Nicola Procaccini è eurodeputato dal 2019 e oggi co-presidente dell’Ecr, il gruppo dei conservatori e riformisti europei, insieme al polacco Ryszard Antoni Legutko. Sindaco di Terracina, in provincia di Latina, dal 2011 al 2019, è da quattro anni coordinatore nazionale Energia e Ambiente per Fratelli d’Italia. Procaccini è candidato in seconda posizione nella circoscrizione Italia Centrale alle spalle della premier Giorgia Meloni

1) Lei che vive il Parlamento europeo a Strasburgo e Bruxelles sente la mancanza del
rapporto diretto con il territorio vissuto quando era sindaco di Terracina? Che
rapporto ha mantenuto con la città?

«Sì, sento la mancanza di un rapporto diretto col territorio, credo che esser stato sindaco, amministratore locale sia stato una formidabile palestra di politica e di vita. Quando hai la responsabilità di una comunità locale sulle spalle ne sei responsabile dalla mattina alla sera, sette giorni su sette e non puoi tradire le aspettative perché tutti sanno dove abiti, dove fai colazione la mattina e quindi hai il dovere di essere concreto, realista, affidabile. Purtroppo al Parlamento europeo sono ben pochi ad avere esperienza amministrativa e si vede perché le scelte spesso sono surreali, tipiche di chi non ha un rapporto diretto con il territorio. Il mio rapporto con Terracina è rimasto ben saldo tanto che è la città dove vivo con la mia famiglia e non me la toglie niente al mondo. Sono pronto a fare tutti i sacrifici del caso come ho già fatto negli ultimi cinque anni per fare il rappresentante europeo ma non voglio che la mia famiglia sia strappata dalla comunità in cui sono nato e cresciuto».

2) Molti vedono il conflitto tra sovranismo e europeismo come una guerra tra egoismo
e solidarietà continentale, ritenendo quest’ultima l’unica forma di solidarietà efficace
in un sistema globalizzato. Essere sovranisti significa dunque non essere solidali?

«Non credo che ci sia un conflitto tra sovranismo e europeismo, ritengo piuttosto che vada difeso il modello originario dell’Unione europea, che è confederale ovvero un’alleanza di nazioni che fanno poche cose insieme, ma serie, grandi, importanti, come la protezione dei confini esterni, del mercato comune europeo, la ricerca scientifica. Ci sono territori in cui è importante che ci sia l’Europa ma purtroppo non c’è stata questo tipo di Unione. C’è stata dove non doveva esserci, entrando a gamba tesa sulla nostra sovranità e questo rimanda al principio di sussidiarietà per cui l’Unione europea deve compiere solo ciò che è in grado di fare meglio delle nazioni, e che gli Stati continuino a eseguire ciò che sono capaci di fare meglio dell’Unione. È un concetto semplice ed è l’integrazione fra l’appartenenza nazionale e europea».

3) Si è vociferato molto sulla possibile adesione del partito di Orban Fidesz all’Ecr, a
che punto sono le trattative? Cosa pensa delle critiche ricevute dal premier
ungherese nella scorsa legislatura per le violazioni dello Stato di diritto?

«Ad oggi Fidesz non ha mai fatto richiesta di entrare nell’Ecr, se dovesse farla tutte le delegazioni si riunirebbero per decidere insieme. Con il gruppo parlamentare di Fidesz in questi cinque anni ho lavorato molto bene perché sono tutte persone moderate e piuttosto capaci. Spesso mi sono trovato a solidarizzare con loro rispetto all’accusa di violazione dello Stato di diritto che non è personalmente come l’ho imparato all’Università ovvero la separazione tra potere esecutivo, legislativo e giudiziario. E’ diventata un’altra cosa, una clava politica. L’accusa della violazione dello stato di diritto e dell’articolo 7 è usata contro chi semplicemente ha un programma politico votato dai cittadini e intende realizzarlo. Ma è cosa ben diversa dallo Stato di diritto».

4) Ritiene soddisfacente l’operato di Ursula Von der Leyen alla guida della
Commissione alla luce del feeling dimostrato in più occasioni con Giorgia Meloni?
La confermerebbe per un secondo mandato?

«No, l’operato di Ursula Von der Leyen non è stato soddisfacente anche perché la sua Commissione era di centrosinistra, figlia della situazione del 2019 in cui la maggioranza dei parlamenti europei, che hanno a loro volta nominato i commissari, erano in maggioranza di centrosinistra, tant’è che il vero presidente della Commissione è stato Frans Timmermans, espressione del socialismo più ortodosso. Purtroppo le politiche adottate dalla Commissione europea sono frutto di questa sua caratterizzazione a sinistra. Il feeling che c’è stato tra lei e Meloni è stato innanzitutto istituzionale, la premier italiana fa giustamente l’interesse della nazione che rappresenta e quindi si relaziona con tutti, dando rispetto e ottenendolo e per questo è stata capace di dialogare tanto con Viktor Orban quanto con Ursula Von der Leyen o Joe Biden, perché è cosi che si rappresentano le istituzioni. Non facendo la cheerleader ma la donna di Stato. Questo è secondo me un approccio giusto, rispettoso delle altre nazioni, ma soprattutto della propria. Io non credo che il secondo mandato ci sarà perché penso che la Von der Leyen sia invisa innanzitutto nel gruppo politico del Ppe che l’ha ricandidata. Noi sappiamo che molti si sono distaccati da questa scelta. Io non credo che alla fine sarà lei che verrà proposta dai capi di governo ai vertici del Parlamento europeo».

5) In vista delle europee crede che i conservatori possano conquistare un
commissario di peso e una presenza consistente nell’Europarlamento?

«Su questo l’Italia ha un vantaggio competitivo importante rispetto a nazioni come Francia, Germania o Spagna, perché ha un governo solido e stabile, fondamentali economici in salute: dalla produzione economica passando per i mercati finanziari e il basso tasso di inflazione, che fanno dell’Italia quella più in salute oggi tra le grandi nazioni. Questo è un risultato rilevante di chi sta guidando il paese, cioè Giorgia Meloni, che ha messo in piedi una nazione che era in ginocchio mentre gli altri Stati europei sono finiti in ginocchio. Questa non è una cosa che fa piacere ma è un dato di fatto e ormai tutti gli analisti internazionali, i più importanti settimanali o quotidiani indicano in Giorgia Meloni l’architrave della politica europea che verrà. Evidentemente ci sarà un motivo».