«Quando sbarcai a Crotone pensai di essere salva, invece è iniziato il mio incubo personale». Resta in carcere a Reggio Calabria Maysoon Majidi, ventisette anni, attivista e artista curda iraniana, arrestata ad inizio 2024 con l’accusa di essere una scafista. Mercoledì 24 luglio la procura di Crotone ha respinto la richiesta di domiciliari della difesa.
La settimana precedente Majidi aveva inviato al presidente della Repubblica Sergio Mattarella una lettera, chiedendo a lui e alle autorità competenti di intervenire a favore di una libertà provvisoria o di forme di detenzione alternativa. «Il senso era quello di ristabilire la sua reputazione di artista, attivista per i diritti delle donne e di persona che ha subito persecuzioni enormi a causa di ciò in Iran», spiega Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, che ha portato avanti una campagna per la liberazione sua e di Marjan Jamali, anche lei richiedente asilo iraniana accusata di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Ventinovenne, era arrivata in Italia il 26 ottobre 2023 con il figlio di otto anni, da cui è stata separata per otto mesi, fino a che non le sono stati concessi gli arresti domiciliari.
«Il processo a Majidi si basa sulle testimonianze di persone a bordo, che poi sono risultate irreperibili», continua Noury, «ma raggiunte da fonti giornalistiche, hanno smentito di aver dichiarato che fosse la scafista dell’imbarcazione». Un’indagine basata su prove giudiziarie, ma che non ha tenuto conto di altri elementi che il portavoce di Amnesty Italia definisce «di buon senso»: «La sua biografia di attivista era nota. Ma sembra anche difficile che due donne persiane, su barconi strapieni di uomini arabi, si mettano al comando. Per non parlare del fatto che Marjan Jamali è stata accusata di essere la scafista dalle stesse persone che hanno provato a stuprarla durante il viaggio».
Chi è uno scafista?
Leggendo la storia delle due donne iraniane possiamo chiederci chi sia, secondo la legge italiana, lo “scafista” e su quali basi quest’accusa può essere mossa. Il reato è quello di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” (dall’art. 12 del Testo unico Immigrazione, TUI), che colpisce non solo chi organizza o dirige una tratta di migrazione, ma anche chiunque faccia materialmente qualcosa per aiutare uno straniero ad entrare illegalmente in Italia o in un altro Stato europeo. Trarne un vantaggio economico non è una condizione per la presenza del reato, ma un’eventuale aggravante.
Uno scafista può essere, quindi, anche solo chi guida la barca, a prescindere dai motivi che lo hanno spinto ad assumere il ruolo di “capitano” o se lo ha fatto volontariamente. «Prima di partire l’uomo arabo con la pistola mi ha detto che avrei dovuto tenere la bussola mentre a quello in fila dietro di me – eravamo l’ultimo ed il penultimo della fila – è stato dato il comando dell’imbarcazione, sotto minaccia di essere sparati». Questa testimonianza è contenuta nel report “Dal mare al carcere” su “la criminalizzazione dei cosiddetti scafisti”, curato dal circolo ARCI di Palermo “Porco Rosso” e Alarm Phone con la collaborazione di Borderline Sicilia e borderline-europe. Il documento presenta, sulla base di testimonianze di migranti, avvocati e attivisti di imbarcazioni volte al salvataggio in mare, come l’accusa di essere “scafisti” è stata utilizzata dalla sua istituzione fino al 2020. Dalle storie raccontate emerge, secondo gli attivisti, uno spettro di “capitani” di cui l’articolo 12 del TUI non tiene conto. C’è il “migrante-capitano forzato”, costretto con la violenza o con le minacce a guidare l’imbarcazione o ad assistere nel ruolo di “bussola” o al telefono satellitare. C’è il “migrante-capitano per necessità”, che, pur non costretto all’inizio del viaggio, ha dovuto prendere in mano il timone in un momento di difficoltà, usando la sua esperienza in mare al fine di non far fallire la traversata. Sono casi diversi dal “migrante-capitano retribuito”, «operai specializzati essenziali al lavoro dei trafficanti» che vengono selezionati durante la permanenza nei campi di detenzione in Libia e si pagano la propria traversata lavorando, e dal “capitano dell’organizzazione”, che è parte integrante della rete che mette in piedi i viaggi attraverso il Mediterraneo. È importante ricordare che queste definizioni sono punti di uno spettro, su cui possono muoversi “casi misti”.
«Ce lo ha spiegato benissimo il film “Io capitano” di Matteo Garrone. Spesso gli scafisti sono semplicemente dei poveracci che accettano di guidare le imbarcazioni per pagarsi il viaggio o perché costretti», aggiunge Riccardo Noury, «spesso senza neanche saperlo fare», con grande rischio per la riuscita della traversata. Il report “Dal mare al carcere” evidenzia come proprio la «criminalizzazione dei cd scafisti diventa un fattore di rischio per i migranti stessi». La conoscenza dei rischi legali dall’altra parte del mare spingerebbe i più esperti nella navigazione ad evitare di prendere il timone, o ad abbandonarlo nel momento in cui il barcone viene individuato dalle autorità italiane, con alti rischi di sbandamento e ribaltamento.
Contro chi lottiamo?
La lotta contro gli scafisti ha assunto toni ancora più forti nell’ultimo anno. «L’arresto di Maysoon Majidi e Marjan Jamali è mosso, come in tanti altri casi, da una sorta di ansia performativa dell’applicazione del decreto Cutro (varato a maggio 2023 dopo una strage di migranti «evitabile», secondo il giudice per le indagini preliminari che ha individuato sei indagati fra finanzieri e agenti di guardia costiera per naufragio colposo)», prosegue Noury. «Quando dichiari guerra agli scafisti lungo l’orbe terracqueo, vuoi dare un segnale per cui ti servono dei risultati. Si cerca in tutti i modi di fare numeri». Una politica che ha anche delle grosse falle, secondo il portavoce di Amnesty International Italia: «Il paradosso di tutto questo è che si arrestano persone all’approdo definendole “scafisti” e chi sta dall’altra parte sulla terraferma ad organizzare il tutto magari riceve anche l’assistenza materiale e finanziaria da parte dell’Unione Europea, Italia inclusa». Il 17 luglio 2024 la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è intervenuta al TransMediterranean Migration Forum a Tripoli, dove ha ringraziato «le nazioni che ci aiutano a combattere contro i trafficanti di esseri umani».