Mercoledì 4 dicembre il primo ministro francese, Michel Barnier, è stato sfiduciato, sancendo la fine del governo più breve mai avuto nel paese, e aprendo una crisi politica che sarà difficile risolvere. Il giorno successivo il presidente Emmanuel Macron si è rivolto ai cittadini in un discorso televisivo, affermando di voler continuare a governare il paese fino al 2027 e promettendo al paese che verrà nominato al più presto un nuovo primo ministro. Oggi, venerdì 6 dicembre, sono attese le prime consultazioni, i socialisti e i repubblicani saranno ricevuti all’Eliseo dal presidente della Repubblica.
Tutto è cominciato lo scorso lunedì quando, durante l’Assemblée Nationale (un ramo del parlamento francese, paragonabile alla Camera dei deputati italiana), il primo ministro Barnier ha dichiarato di voler usare l’articolo 49.3 della Costituzione francese per approvare la legge di bilancio per il welfare. La misura permette di approvare alcune norme senza passare per il voto del Parlamento, che a sua volta però può non accettarla e sfiduciare il governo. Così è stato, il Rassemblement National e la coalizione di sinistra del Nouveau Front Populaire hanno presentato due mozioni di sfiducia, mercoledì 4 destra e sinistra hanno votato la prima delle due, depositata dal Nfp, facendo cadere il governo.
Secondo l’analista politico Jean Pierre Darnis, consigliere scientifico dell’Istituto affari internazionali e professore associato all’Università di Nizza Sophia-Antipolis, si configurano due ordini di problemi. Uno per le finanze pubbliche «perché anche se ci sono meccanismi eccezionali per il voto di bilancio che potranno far andare avanti lo Stato come forme di decreto o un intervento diretto del presidente della Repubblica, si tratterebbe di un bilancio conservatorio che non permette cambiamenti».
La seconda questione è di ordine politico: «Questa sfiducia dimostra che non c’è concordanza interna al governo e che ci sia una parte della maggioranza contro. La formula non è gestibile, ma non se ne vedono altre. Il polo a sinistra, il centro destra e l’estrema destra sembrano non portare a nessuna forma di accordo tra questi due poli, al momento non si vedono gli estremi per un’intesa» conclude Darnis.
Il Nfp, contrario a Barnier sin dall’inizio, contesta la sua nomina definendola in opposizione alla volontà popolare. L’ampia coalizione di sinistra che aveva ottenuto il maggior numero di voti non fa parte di questo governo e aveva dichiarato sin dall’inizio che avrebbe votato contro la legge di bilancio. Il Rassemblement National fino a qualche settimana fa aveva una posizione più moderata e propensa alla collaborazione con il governo, ma dopo che Marine le Pen è risultata coinvolta all’interno di un processo per frode – è accusata di aver usato dei fondi europei per pagare dei collaboratori che lavoravano per il partito – ha cambiato strategia. La leader, a rischio ineleggibilità, punta ora ad accelerare verso le presidenziali, sperando nelle dimissioni di Macron e nel voto anticipato. Elezioni che, secondo la Costituzione, si potranno indire solo a partire dal 25 luglio 2025.
A ogni modo a questo punto il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, potrebbe tornare ad avere un ruolo centrale: con una crisi paralizzante e lo spettro di uno spread in aumento, il capo dello Stato potrebbe optare per un governo tecnico o altre soluzioni straordinarie per evitare ulteriori incertezze politiche ed economiche.
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