Esclusiva

Dicembre 5 2024
Boxe e Parkinson, una lotta che migliora la vita

Il progetto portato avanti dall’Associazione fiorentina “Un gancio al Parkinson” e sostenuto dall’Università di Harvard

Guantoni alle mani, sul ring per combattere la malattia. È lo spirito dell’associazione “Un gancio al Parkinson”, fondata dal chirurgo ortopedico Maurizio Bertoni. Al Training Lab di Firenze la boxe viene usata per contrastare la patologia degenerativa, al momento incurabile. «Il numero di malati sta crescendo, solo in Toscana abbiamo ventiduemila casi, anche tra i più giovani», racconta il medico. Insonnia, rigidità muscolare, eccessivo tremolio sono i sintomi più comuni. Proprio su questi interviene lo sport.

«Per i malati affetti da Parkinson l’attività fisica è fondamentale, ma la ginnastica dolce o la camminata non sono abbastanza intense – spiega Bertoni -. Dagli studi fatti si è dimostrato che la boxe, coinvolgendo più muscoli contemporaneamente, velocizza le capacità di reazione e concentrazione, migliora l’equilibrio e la coordinazione dei movimenti». Unico centro in Italia, mira a creare affiliazioni nel resto del Paese, già avviate in Campania e Calabria.

Boxe e Parkinson, una lotta che migliora la vita
Credit by Creative Solutions Studio https://www.creativesolutions.cool/

L’idea di unire cure mediche e pugilato è nata oltreoceano e arrivata qui grazie al destino, cinque anni fa. «Mi trovavo a New York per un congresso ortopedico. Con me c’era anche mio figlio che una mattina mi ha proposto fare un po’ di attività fisica», racconta Bertoni. La palestra di Brooklyn dove si recano, però, non è una qualunque. Sull’insegna c’è scritto “Gleason’s Gym”, tempio del pugilato, fondato negli anni trenta da un italiano. Qui si sono allenati i grandi nomi della boxe, tra cui Jack la Motta, Muhammad Alì e Mike Tyson. Quel giorno ad attirare l’attenzione del medico è un cartello appeso sulla porta: “Domani allenamento di boxe per il Parkinson”. Così, incuriosito, decide di scoprire di che si tratta: « Sono rimasto colpito da queste persone con chiari problemi motori che davano colpi al sacco. Tornato in Italia ne ho parlato con i colleghi neurologi e da lì è nata la voglia di creare l’associazione». Prima un paziente, poi due, tre, fino a 140, così tanti da richiedere che oggi si trovi uno spazio più grande. Insieme ai pazienti arrivano anche i risultati, seguiti dal comitato scientifico all’interno dell’Università di Firenze e in collaborazione con le Università americane di Harvard e Ohio. Gli studi valutano i miglioramenti dei deficit quali la lentezza, la difficoltà nel cammino e nell’attenzione, dopo tre mesi di esercizi. L’obiettivo è curare i problemi fisici riducendo l’uso dei farmaci, spesso con controindicazioni non indifferenti.

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Alle cure del corpo si affiancano quelle della mente. «Molti pazienti soffrono di depressione e sfiducia nella vita a causa della loro condizione – spiega Bertoni -. Abbiamo visto che gli allenamenti influiscono positivamente sulla loro emotività, perché si sentono stimolati e carichi». Grazie alla collaborazione di tutti, la palestra diventa un luogo dove divertirsi e stare in gruppo. In questo percorso un ruolo fondamentale è svolto da istruttori qualificati come Jacopo Carocci, entrato nel team grazie ad un tirocinio: «Durante una lezione ho conosciuto il dottor Bertoni che presentava le attività svolte. Mi si sono illuminati gli occhi. Ho capito che questo lavoro è un mix di impegno fisico, dati e conoscenze scientifiche». Tutto condito con una buona dose di sensibilità. «I pazienti si confrontano con noi sulle difficoltà che incontrano, quindi diventiamo dei punti di riferimento per loro ma anche per chi li assiste», spiega Jacopo. Il decorso della malattia non si può fermare, ma le gioie dei piccoli gesti diventano il gancio per una vita migliore: «Quando un familiare ti dice “Prima mio padre non riusciva nemmeno a mettere il piatto a tavola. Grazie.” sai che hai fatto un buon lavoro. Può sembrare una bischerata – conclude Jacopo col suo caratteristico accento toscano – ma riprendere momenti di autonomia quotidiana è già un grandissimo passo avanti».