Avrebbe voluto colpire anche la premier Giorgia Meloni il gruppo neonazista “Warewolf Division”, sgominato dalla Digos di Bologna nell’ambito di un’indagine della procura emiliana condotta dalla pm Rosella Poggioli. Oltre alle dodici persone arrestate, ce ne sarebbero altre tredici legate al gruppo di estrema destra. Agli atti ci sarebbero alcune conversazioni in cui gli indagati – oltre a promuovere attività di propaganda, proselitismo e ad esternare la predisposizione ad azioni violente – raccontano pure dei propri progetti contro i rappresentanti delle istituzioni. E nel mirino, tra gli altri, c’era pure un economista del World Economic Forum. Un clima da golpe Borghese 2.0 – a casa degli indagati sono stati ritrovati coltelli, spade e altre armi – che ha riacceso i fari sul sottobosco neonazista che cresce e prospera tra le pieghe del web, su Telegram anzitutto, e che va ben oltre le galassie di estrema destra più note come Casapound o Forza Nuova.
La “Divisione Nuova Alba”, questo il nome dell’organizzazione dal 2023, mirava a fornire ai propri proseliti un vero e proprio addestramento paramilitare coordinato da un “Istruttore” e finalizzato, si legge, «alla sovversione dello Stato in nome della cosiddetta Siege Culture e della cosiddetta White Jihad» nonché «delitti di istigazione a delinquere, apologia e negazionismo della Shoah con finalità di eversione dell’ordine democratico» avente carattere e finalità «neonazista, suprematista e di discriminazione razziale, etnica e religiosa».
Non c’è più, insomma, solo l’appellarsi al neofascismo, ma anche riferimenti espliciti alla narrativa neonazista. Un quadro nerissimo che, in realtà, si compone da anni. Non è infatti solo la “Warewolf Division” ad allarmare gli inquirenti dell’Antiterrorismo, ma molte altre simili formazioni. Nel 2021 la magistratura aveva dato un colpo di spugna a “Sole nero”, una sorta di cellula italiana della tedesca Atomwaffen division, che aveva come obiettivo colpire gli ebrei visti come «il male da eliminare prima di chiunque altri». Anche in questo caso, l’organizzazione si teneva in contatto via Telegram, dove le adesioni al gruppo avevano raggiunto quota cinquecento.
Sempre nel 2021, nel maggio, era toccato a “Ultima Legione”, con un totale di trenta indagati tra Lombardia, Abruzzo, Liguria e Veneto. Un gruppo di «filonazisti», scrivono gli inquirenti, che elogiava le «stragi di matrice suprematista» e Luca Traini, che nel 2018 sparò a Macerata ferendo sei immigrati. Un mese dopo, dodici ordinanze avevano bloccato l’”Ordine Ario Romano”, altra formazione nazista che inneggiava alla «purezza della razza» e che, tra gli obiettivi, aveva pure quello di colpire una base Nato. E ancora a Milano, nel luglio 2021, quattro ventenni armati di manganelli e coltelli erano stati fermati mentre si apprestavano ad aggredire uno straniero di religione musulmana. Facevano parte di “Avanguardia rivoluzionaria”, gruppo ispirato al nazifascismo e al suprematismo bianco.
Senza contare, nel 2019, lo scoperchiamento da parte della procura di Caltanissetta di un Partito nazionalsocialista italiano dei lavoratori che, tra Lombardia, Piemonte, Liguria e Veneto, era in contatto con l’organizzazione terroristica Combat 18. Guidato da un ex boss della ‘ndrangheta ed ex vicecoordinatore di Forza Nuova, il bilancio per il partito neonazista fu di cinque arrestati e diciannove indagati.
Una galassia che, con lo scoppio della guerra in Ucraina, si è intrecciata anche con le formazioni neonaziste di Kiev come il Battaglione Azov. Un esempio è l’Ordine naturale di Hagal, con base in Campania, sulla carta un’”associazione religiosa”, nella pratica un gruppo antisemita organizzato in forma paramilitare e che contava nell’organico anche ex di Forza Nuova. I militanti erano «esperti in materia di armi» e avrebbero seguito «specifici corsi di addestramento nell’uso di armi lunghe e corte» relazionandosi, oltre che col battaglione Azov, anche con altre formazioni neonaziste ucraine come Misanthropic division, Pravy sector e Centuria.
In questo senso vale la pena citare un’indagine di un gruppo di intelligence internazionale – riportata dal Washington Post – secondo cui tra i 20mila volontari di 52 Paesi partiti per combattere in aiuto dell’Ucraina ci sarebbero gruppi neonazisti e suprematisti. Che avrebbero “sfruttato” il conflitto per addestrarsi. Qualcosa di simile a quanto avvenuto tra le truppe filorusse del Donbass, nelle quali figuravano, lo certificano procedimenti giudiziari, esponenti di estrema destra. Caso esemplare quello dell’italiano Andrea Palmeri, ex Forza Nuova, ex capo ultrà della Lucchese, latitante in Donbass da anni.
Le cellule neonaziste «per adesso non hanno una regia comune o un coordinamento», ha dichiarato a Zeta Giovanni Carissimo dell’Osservatorio democratico sulle nuove destre. «Ma – ha aggiunto – è difficile dire se questa mobilitazione politica violenta, spesso armata, potrà trasformarsi in un’organizzazione vera e propria come accadde con Ordine Nuovo negli anni ‘70». «Qui non abbiamo questo panorama – ha spiegato Carissimo – ed è difficile capire se ci sarà o no questo salto di qualità» che sembra comunque «improbabile» se guardiamo «alle esperienze, ad esempio, del mondo anglosassone».
La mobilitazione di queste formazioni in Ucraina, però, «è una tendenza che non va sottovalutata» e che ha come fine ultimo l’utilizzo della violenza politica come strumento «per il cambiamento dello status quo democratico», ha aggiunto Carissimo. Che ha spiegato pure come sul conflitto russo-ucraino la galassia dell’estrema destra si sia spaccata, «con Forza Nuova che si è schierata con le regioni separatiste del Donbass e con Putin, riconosciuto come difensore della tradizione contro l’Occidente liberale» e Casapound che, invece, «è fedele a Kiev in virtù di contatti coltivati nel decennio precedente con i camerati ucraini».
La debolezza di queste formazioni, ha aggiunto Carissimo, deriva anche dalla salita a Palazzo Chigi della leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, il cui successo elettorale «ha drenato consensi ai gruppi più radicali» della destra mainstream, come Casapound appunto, che hanno progressivamente abbandonato le competizioni elettorali. Per quel che riguarda invece i gruppi “underground”, come la “Warewolf Division” di Bologna, si rileva tra le varie formazioni «una frammentarietà» che comunque, precisa Carissimo, «non le rende meno pericolose, come dimostra la vicenda nel 2018 del lupo solitario Traini».
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