«Donna, vita, libertà!». Tre parole, simbolo del dissenso delle donne in Iran. È la voce di Narges Mohammadi a gridarle, mentre con i capelli ricci, sciolti, senza il velo, esce dal carcere di Ervin, a Teheran. La sua libertà durerà solo per ventuno giorni, dopo i controlli medici tornerà dietro le sbarre. Troppo pochi per l’operazione di rimozione di un tumore benigno che ha subito, soprattutto per la fragilità causata dalle patologie cardiache e polmonari di cui soffre. E per le condizioni inumane della prigione in cui è reclusa.
La richiesta di un rilascio definitivo di Mohammadi arriva dall’Onu, insieme a organizzazioni umanitarie come Amnesty International e alla sua famiglia. Che non vive più in Iran da tempo.
Per la lotta personale contro l’oppressione del regime, l’ingegnera dissidente ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace 2023. Sulle sue spalle, tantissime condanne da parte delle autorità iraniane. Negli ultimi dieci anni, è entrata e uscita di prigione tante volte. Maltrattata, torturata, nonostante la malattia non ha mai mollato.
Sul palmo della mano destra, mostra le scritte nere: «No all’apartheid di genere!». Sulle gambe, tiene la foto di Mahsa Amini, la ventiduenne uccisa nel 2022 dalla polizia morale per non aver non aver indossato correttamente l’hijab.
Lutto che scosse le coscienze, e fece scendere le donne per strada. Bruciarono i loro veli, si tagliarono i capelli, postarono tutto online. Anche se gli è stato proibito dal governo perfino di cantare e ballare, loro hanno risposto dando vita al movimento “Woman, life, freedom”, finito al centro dell’attenzione internazionale dopo le immagini brutali dell’arresto di Ahou Daryaei.
La studentessa curda, in protesta solitaria, si è spogliata rimanendo in biancheria intima per le vie dell’Università islamica Azad, lasciando incredulità negli sguardi di chi era seduto sulle panchine vicine.
Il suo gesto di coraggio è spopolato sui social, dove è diventata la protagonista di disegni, vignette, caroselli e opere d’arte. Come il murales “Freedom” sul consolato di Milano, dove Ahou ha le braccia conserte, il tricolore dell’Iran sui vestiti, la scritta libertà sugli slip.
Bollata come malata di mente, è stata subito internata in una struttura psichiatrica. E dopo pochi giorni, il regime ha annunciato l’apertura di un centro di salute mentale a Teheran per le donne che si rifiutano di indossare il velo. Nella “clinica per smettere di rimuovere l’hijab” vengono ora sottoposte a un trattamento per promuovere la “dignità, modestia e castità”.
La struttura è sotto la supervisione dell’organismo responsabile dell’applicazione dei rigidi standard religiosi nella società, guidato da Golpayegani, nominato dal leader supremo Ayatollah Ali Khamenei, già sanzionato da vari paesi per la violazione dei diritti umani.
Aggiornamento: Il presidente iraniano Masoud Pezeshkian blocca la stretta sull’hijab
Il 15 dicembre il presidente della Repubblica Islamica Masoud Pezeshkian ha bloccato con il veto la legge che prevedeva un inasprimento delle sanzioni per le donne che si fossero rifiutate o non avessero indossato in modo corretto il velo.
La notizia arriva durante i cinque giorni che Pezeshkian ha per promulgare il provvedimento. Il riformista ha espresso delle riserve, portate all’attenzione del Consiglio supremo di sicurezza nazionale dell’Iran. Al Parlamento di Teheran è stata chiesta una riflessione più approfondita prima di attuare la normativa, per via delle conseguenze che potrebbe avere sulla società.
Nella versione originale, sarebbero state previste multe salate per le donne che non rispettano l’obbligo dell’hijab e sanzioni severe per personalità di spicco, dal divieto di esercitare la professione a quello di lasciare il paese, alla confisca del 5% dei beni. Le misure sono state approvate dal Consiglio dei Guardiani, organismo chiave nella struttura politica iraniana con il compito di supervisionare la conformità delle leggi ai rigidi principi islamici e alla Costituzione.
Un conflitto istituzionale e ideologico tra ultraconservatori e riformisti, che vorrebbero modernizzare l’Iran.
Una speranza arriva nello stesso giorno: è stata annunciata la liberazione della cantante Parastoo Ahmadi, arrestata dopo aver pubblicato su YouTube la sua esibizione senza velo e a spalle scoperte. «Sono Parastoo, una ragazza che vuole cantare per le persone che ama. Questo è un diritto che non potevo ignorare: cantare per la terra che amo appassionatamente», scrive nel messaggio finale dello spettacolo. Un altro gesto di protesta verso il regime oppressore dei diritti delle donne.
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