L’instabilità in Siria, con la caduta dell’amministrazione di Bashar al-Assad e il conseguente ritiro delle forze russe, segna un cambio di rotta negli equilibri strategici del Mediterraneo.
Mentre le navi russe si allontanano dal porto siriano di Tartus – unica stazione di rifornimento e manutenzione russa nel Mediterraneo – con immagini satellitari che mostrano le navi della marina ormai al largo, gli aerei da carico nella base aerea russa di Hmeimim sembrano pronti a caricare. Funzionari della sicurezza siriana hanno affermato che almeno uno di questi aerei russi sarebbe diretto alla volta della Libia.
Il ritiro di equipaggiamenti militari e mezzi navali e aerei dalla Siria e il loro trasferimento in Libia sembra indicare lo Stato del nord d’Africa come l’alternativa scelta dal Cremlino per mantenere una presenza marittima nel Mediterraneo: «La Russia soffre storicamente di una gravissima vulnerabilità marittima» spiega Roberto Domini, Presidente del CESMAR (Centro Studi di Geopolitica e Strategia Marittima) «e la perdita di Tartus costringe Mosca a cercare sbocchi altrove».
La situazione riflette un problema più ampio: la presenza russa nel Mediterraneo, cruciale anche per la guerra in Ucraina, si è finora basata su un delicato equilibrio: Tartus, unico hub di rifornimento, permetteva a Mosca di superare le proprie fragilità geografiche, ossia l’accesso limitato ai “mari caldi”. La geografia è sempre stata d’ostacolo alla Russia nell’accesso verso il Mediterraneo e le rotte oceaniche: circondata da mari interni o ghiacciati per buona parte dell’anno, Mosca fatica ad accedere direttamente alle grandi rotte commerciali. «Non avendo accesso diretto ai mari caldi, ha sempre cercato di assicurarsi basi esterne. Tartus era l’occasione per bypassare gli stretti turchi controllati dalla NATO, ma con Assad fuorigioco e la Siria diventata teatro instabile, Mosca deve trovare un’altra soluzione», spiega Domini.
Con la perdita del porto siriano di Tartus la Marina russa si ritrova senza un punto d’appoggio per operare nei “mari che contano” e affermarsi come influenza in Medio Oriente, Mar Rosso e l’Oceano Indiano, e è così costretta a cercare nuovi approdi.
È in questo quadro che la Libia finisce nelle mire di Mosca. La Cirenaica, con il porto di Tobruk, potrebbe offrire un rifugio temporaneo: acque profonde, il supporto di basi aeree nell’entroterra e una posizione strategica a poche miglia dalle coste europee. Tuttavia, come avverte Domini: «La Libia non è uno Stato stabile, ma una realtà frammentata e segnata da tensioni continue dove non c’è garanzia di sicurezza. Sarebbe un’installazione precaria, incapace di replicare la funzione svolta dalla base siriana».
Mosca si trova davanti a un dilemma di natura strategica: abbandonare la Siria con la rinuncia a un prezioso accesso a una base sicura nel Mediterraneo, uno snodo chiave per proiettare la propria influenza, mentre il conflitto in Ucraina prosciuga risorse e impone un riposizionamento. L’idea di trasferire i propri equipaggiamenti militari e navali in Libia, più vicina all’Europa e potenzialmente utile come snodo per gli interessi africani, nasce anche dalla necessità a non rinunciare del tutto allo spazio Mediterraneo.
«Non dimentichiamo» osserva Domini, «che il Mediterraneo è un mare affollato. L’Italia, ad esempio, ha già visto la propria influenza erosa dall’espansionismo di Ankara in aree tradizionalmente sotto il suo raggio d’azione. L’arrivo anche parziale della Russia in Libia potrebbe non essere necessariamente così destabilizzante: la Turchia, ad esempio, è un rivale per Roma ben più serio vista la sua efficace capacità di esercitare la sua potenza nel Mediterraneo allargato».
In questo quadro, l’Italia e gli Stati europei che si affacciano sul Mediterraneo hanno di fronte una minaccia più vicina, ma anche un’opportunità: il ritorno d’importanza di queste rotte. «Non dobbiamo aspettarci soluzioni rapide, ma i segnali ci dicono che il Mediterraneo acquisisce giornalmente una centralità economica che non aveva nel recente passato» spiega Domini «il Mediterraneo è in continua evoluzione, e con esso le strategie russe, turche, europee e cinesi. Per l’Italia è una sfida continua, ma anche una chance: tornare a essere un interlocutore significativo a livello internazionale non solo nel Mediterraneo allargato ma anche all’esterno di esso. L’idea del Presidente Meloni di un Mediterraneo globale, che si allarga oltre i confini a cui eravamo abituati, metterà alla prova la Marina italiana che dovrà difendere i nostri interessi anche molto lontano dalle coste nazionali. Testimonianza di questa capacità è l’appena conclusa campagna nell’Indopacifico dove la credibilità e l’operatività della flotta italiana sono state ampiamente dimostrate», conclude Domini.