Esclusiva

Gennaio 14 2025
Il ricordo di Furio Colombo, “padre spirituale di noi inviati a New York”

Scomparso la mattina del 14 gennaio, era uno storico corrispondente dagli Stati Uniti, uomo generoso e poliedrico nel racconto di chi lo ha conosciuto e ha lavorato con lui

«Ciao, sono Furio, ho mandato la rubrichina, dimmi se funziona» era diventato un fortunato tormentone nella redazione de la Repubblica. Quella voce che attraversava l’Atlantico era un appuntamento fisso, atteso da tutti. «E la rubrichina», racconta Alberto Flores d’Arcais, allora caporedattore esteri e destinatario delle telefonate, «funzionava. Funzionava sempre».

Furio Colombo è morto la mattina del 14 gennaio all’età di 94 anni. Nato in Val d’Aosta, a Châtillon, il primo gennaio del 1931, è stato giornalista, parlamentare, scrittore e saggista, ha raccontato i mutamenti sociali e culturali del suo tempo, dall’Italia e dagli Stati Uniti. Negli States è iniziata anche la sua carriera come dirigente della Olivetti. Rimasto sempre legato all’azienda e alla figura di Adriano, in un suo articolo del 2022 ha così descritto i suoi colloqui con l’Ingegnere di Ivrea: «C’era futuro nelle sue conversazioni e la natura e la qualità dei suoi pensieri a volte erano quasi un fantasticare».È stato inoltre presidente del gruppo FIAT USA dal 1989 al 1994 e direttore dell’Istituto italiano di cultura di New York dal 1991 al 1994. Già degli anni Sessanta ha portato avanti una carriera parallela nella Rai, entrando con un concorso a Torino cui partecipavano anche Piero Angela e Umberto Eco. Con quest’ultimo ha contribuito alla creazione del corso di laurea in DAMS all’Università di Bologna ed è stato tra i fondatori del Gruppo 63, movimento culturale di neoavanguardia nato a Palermo nel 1963.

Da sempre attento alle innovazioni in tutti campi, è stato precursore di diversi temi di attualità. Da professore alla Columbia University di New York, è ricordato come uno dei primi a evidenziare il ruolo sempre più centrale della religione nella politica statunitense. Ha osservato e messo in luce il consolidarsi della destra evangelica, che oggi rappresenta una parte significativa del bacino elettorale del neoeletto presidente Donald Trump. Nel 2012 ha scritto il pamphlet “Contro la Lega” in cui intuiva i margini di espansione di populismi e nazionalismi. Il romanzo Privacy (2001), infine, ha preannunciato il fenomeno della rinuncia collettiva alla vita privata che l’avvento dei social network ha reso rilevante. C’è però un episodio in cui le sue inclinazioni profetiche hanno assunto contorni quasi mistici. Nel 1975, per La Stampa ha intervistato Pier Paolo Pasolini, qualche ora prima che lo scrittore fosse assassinato. Il colloquio è stato pubblicato pochi giorni dopo il delitto con il titolo “Siamo tutti in pericolo”. Ciò che fa specie è che era stato lo stesso Pasolini a suggerire quella frase premonitrice.

Corrispondente dagli Stati Uniti per La Stampa e per la Repubblica, Colombo è diventato presto un punto di riferimento. «Era il padre spirituale di tutti noi inviati a New York», racconta a Zeta il giornalista Antonio Di Bella, «un padre esemplare, sempre generoso, prodigo di consigli, ironico e affettuoso. Nei suoi documentari ha descritto magistralmente l’America, mai davanti alla camera, sempre un passo indietro, raccontando senza banalizzare». Lo stesso atteggiamento ha caratterizzato il suo percorso politico. Deputato per i Democratici di Sinistra dal 1996 al 2001 e per l’Ulivo dal 2006 al 2008, a lui si deve l’istituzione del Giorno della Memoria, per ricordare ogni 27 gennaio le vittime dell’Olocausto. «Ha vissuto sulla sua pelle l’antisemitismo», continua Di Bella, «ricordo il suo racconto di quando a scuola lo allontanarono dalla classe perché ebreo. È stato capace di trasformare la sofferenza in azione politica».

Dopo la prima esperienza da deputato, Colombo è stato chiamato a dirigere l’Unità dal 2001 al 2005. Un matrimonio sulla carta difficile per uomo d’industria con un’ammirazione mai nascosta per gli Stati Uniti, ma che ha dato una nuova vita al giornale. Nel 2009 ha cofondato Il Fatto Quotidiano, di cui è stato editorialista fino al 2022, quando ha lasciato in polemica con le posizioni assunte dalla testata dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina.

«Era un uomo poliedrico», conclude Di Bella, «in grado di pranzare a mezzogiorno con Kissinger e Agnelli e alla sera conversare con Bob Dylan, di cui era amico». Simbolo di una generazione che credevamo immortale, Furio Colombo è stato tante persone e ha vissuto tante vite, alcune difficili da tenere insieme. Eppure funzionava, funzionava sempre.  

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