Lo sguardo del neoeletto presidente USA Donald Trump è torvo, serio, ma sicuro, quando firma la marea di provvedimenti con cui sta cambiando la direzione del paese. È circondato dalla folla, di giornalisti e di sostenitori, mentre, con il braccio teso, mostra un documento al pubblico della cerimonia di inaugurazione del suo nuovo mandato. Su quel foglio, uno dei tanti firmarti dal neopresidente appena insediato, c’è l’ordine esecutivo che porta gli USA fuori dall’Accordo sul Clima di Parigi. Una mossa che potrebbe rappresentare una rovina per la lotta alla crisi ambientale. Oppure, una spinta. Ma andiamo con ordine.
L’Accordo di Parigi del 2015 è un impegno firmato da quasi tutti i paesi del mondo (mancano solo Iran, Libia e Yemen) per combattere il cambiamento climatico. L’obiettivo è quello di rallentare il riscaldamento globale per mantenere l’aumento delle temperature sotto i +1,5°C entro la fine del secolo.
Di fronte a questo impegno, The Donald è lapidario nella decisione di uscirne. «Abbandono immediatamente l’ingiusto, monodirezionale Accordo climatico di Parigi,» dice dopo aver firmato, informando con una lettera a parte le Nazioni Unite della decisione. Il giorno dopo, con indubbio tempismo, le UN ribadiscono l’importanza dell’accordo con un post su Twitter: «Lo sforzo collettivo ha fatto la differenza, ma dobbiamo andare oltre e più velocemente, insieme».
Trump ci aveva già provato ad abbandonare l’Accordo, durante la campagna elettorale del 2020, ma fu fermato da Biden. Questa volta, però, ci è riuscito. «La decisione è stata seguita dal ritiro di ogni impegno finanziario previsto dalla Convenzione ONU sui cambiamenti climatici, la UNFCCC, causando all’organismo che organizza i negoziati una perdita secca di bilancio di oltre il 20%. Questo è forse uno degli aspetti più preoccupanti», afferma Jacopo Bencini, presidente di Italian Climate Network: «Siamo di fronte ad un controsenso logico e politico, soprattutto visti gli eventi estremi imputabili al cambiamento climatico che di recente hanno colpito gli Stati Uniti». Di fatto, fra le nevicate intense a est e gli incendi che continuano a devastare l’ovest, il National Weather Service parla di “situazione estremamente pericolosa”.
Per, gli attivisti climatici, come spiega Bencini, il fatto che il Presidente USA abbia deciso di uscire dall’Accordo di Parigi, è un fallimento che risiede «nell’incapacità di ricucire la base sociale del Paese, spaventata da un mondo in rapido cambiamento. Una realtà nuova nella quale gli Stati Uniti non godono più del magnetismo che hanno avuto fino alla fine degli anni 90 verso il resto del mondo occidentale».
Ma l’America non è il mondo. Come sostiene Laurence Tubiana, economista francese a capo della European Climate Foundation e artefice chiave degli Accordi di Parigi, sono tanti altri i paesi già avviati verso la transizione ecologica su cui la decisione di Trump non peserà.
«La scelta del presidente degli Stati Uniti potrebbe non rappresentare un problema di magnitudo storica irrisolvibile se fosse un fenomeno isolato e interno agli Stati Uniti d’America», commenta Bencini, che però aggiunge: «Il problema è che le sue politiche, o per meglio dire la sua nuova narrazione politica, rallenteranno la transizione ecologica in altri Paesi. In un momento chiave in cui invece si dovrebbe accelerare».
Così la decisione del Presidente rieletto lancia una sfida, che porta a chiedersi come il resto del mondo reagirà alla nuova “età dell’oro” di Trump.