Esclusiva

Gennaio 27 2025
La memoria che costruisce il futuro: la sfida della Giornata della Memoria

La Giornata della Memoria a Roma ricorda la Shoah come monito per il futuro. Il rabbino Rav Ronnie Canarutto sottolinea l’importanza di mantenere viva la memoria attraverso l’azione quotidiana, promuovendo il rispetto delle differenze e la lotta contro l’antisemitismo

«Il vero ricordo della Shoah non sta nei musei, ma nella costruzione di un futuro che non dimentica». È nella forza del domani che Rav Ronnie Canarutto, rabbino del Centro Chabad di Roma, vede l’unico modo per tenere in vita il ricordo collettivo nella Giornata della Memoria. Mentre il 27 gennaio si staglia ogni anno come un momento per commemorare la Shoah – secondo quanto stabilito dalla risoluzione 60/7 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 1 Novembre 2005 – la capitale ricorda le vittime dell’Olocausto, mentre il contesto internazionale appare sempre più complesso e sorgono interrogativi sul futuro della memoria collettiva.

Alla vigilia della Giornata della memoria, via Portico d’Ottavia – nel Ghetto ebraico della città eterna – è attraversata da un vento fresco in un’atmosfera calma e soleggiata. Nei pressi di largo 16 ottobre 1943 cittadini e turisti ascoltano le guide mentre spiegano la storia del secondo Ghetto istituito al mondo, dopo quello di Venezia. Le persone tentano di schivare i lavori in corso e si mettono alla ricerca del miglior carciofo alla giudia o della torta alle visciole più buona. 

La memoria che costruisce il futuro: la sfida della Giornata della Memoria

I tavoli all’aperto dei ristoranti di cucina tipica ebraica e specialità romane sono affollati. Nei vicoli acciottolati ci sono targhe commemorative di marmo bianco, come quella dedicata ai neonati deportati e sterminati nei lager nazisti: «E non cominciarono neppure a vivere», recita. Un bambino prende a calci un pallone rosso non lontano dalle pietre d’inciampo e dal Tempio Maggiore in via Elio Toaff, strada dedicata allo storico capo rabbino di Roma, scomparso nel 2015.

Accanto al Museo della Shoah, balza all’occhio un mazzo di rose rosse a terra avvolto dalla carta. Davanti la raffigurazione dei due superstiti dell’Olocausto Liliana Segre e Sami Modiano, vestiti con un completo a righe e un giubbotto verde con la stella di David al petto. Proprio la senatrice a vita – sopravvissuta ad Auschwitz – si è espressa sul pericolo che la Shoah venga ridotta «a una frase nei libri di storia». 

«Ricordare non è solo una questione di commemorazione passiva», spiega il rabbino Rav Canarutto di fonte al Centro Chabad di Roma, dove con attività e iniziative si dà l’opportunità di esplorare le proprie origini ebraiche, «questo è un momento di riscatto, dove far rivivere quella memoria attraverso il nostro quotidiano».

Al centro della piazza il rabbino è fermo nel condannare gli ultimi avvenimenti come il presunto saluto romano a opera del magnate Elon Musk: «Noi andiamo avanti, non vogliamo fermarci ad ascoltare ogni matto che dice la sua».

In un contesto che dall’inizio dello scoppio della guerra in Medio Oriente continua ad essere complesso, il ruolo delle comunità ebraiche e delle istituzioni pubbliche diventa sempre più fondamentale: «Implica che il ricordo della Shoah debba essere parte integrante della formazione delle nuove generazioni, non come un atto di nostalgia, ma come un avvertimento per il presente». La vera sfida sembra non solo risiedere nel mantenere vivo il ricordo di così tanta atrocità, ma nel fare in modo che quella memoria si traduca in un’azione concreta contro ogni forma di discriminazione e intolleranza.«Il vero obiettivo è costruire il futuro come spazio in cui non ci sia timore a praticare la propria religione, in cui si accolga sia la diversità, che la bellezza di questo mondo. Un mondo fatto di diverse culture il cui cuore e valore sta nel rispetto delle differenze», conclude il rabbino mentre nelle strade risuona un viavai di voci e passi.