Un reparto mobile della polizia in assetto antisommossa, una protesta che esplode in violenza, manganelli che si abbattono su scudi e corpi. Fin dalle prime sequenze, “ACAB – La serie” impone un ritmo serrato e uno sguardo spietato sulla realtà. Sei episodi diretti da Michele Alhaique e prodotti da Stefano Sollima per Netflix, che riprendono il romanzo di Carlo Bonini pubblicato nel 2009.
Rispetto all’omonimo film del 2012, la serie sposta il focus: non più solo le tifoserie ultras e lo scontro con gli agenti, ma una riflessione più ampia sul concetto stesso di ordine pubblico, sulle tensioni sociali e sulle contraddizioni interne a chi è chiamato a gestirle. «I conflitti sono rimasti gli stessi: sono temi universali che attraversano qualsiasi società democratica» spiega Bonini. «Come il monopolio della forza. Volevamo consegnare al pubblico una narrazione che potesse mettere in discussione le idee di tutti. Nel 2008, quando scrissi il libro, la polizia italiana era reduce dal caso Diaz di Genova. Riprendere ora le forze dell’ordine, dopo un certo percorso, ma in un contesto politico diverso, è stato divertente».
La trama si sviluppa intorno alla Celere, corpo speciale mobile di polizia, che perde il proprio leader in uno scontro in Val di Susa e si trova a fare i conti con un nuovo comandante, Michele Nobili, interpretato da Adriano Giannini. Lui rappresenta una visione riformista del corpo di sicurezza, più incline al dialogo che alla repressione, e si scontra con le resistenze del gruppo, in particolare Mazinga, cui dà volto Marco Giallini, Marta, resa sullo schermo da Valentina Bellè, e Salvatore, portato in scena da Pierluigi Gigante, abituati a rispondere alle aggressioni con la forza.
La tensione si accumula puntata dopo puntata, tra scontri nelle strade e conflitti interni, tra ordini superiori e pulsioni personali. «Quando si indaga il rapporto tra sicurezza e libertà, è molto difficile dividere il mondo in bianco e nero» sottolinea Bonini. «La tonalità è sempre intermedia: il grigio ti impedisce di affermare con certezza chi abbia ragione o meno. Questo è un racconto che aiuta a porsi delle domande, più che a trovare risposte definitive».
E proprio questo è il cuore della storia: la complessità. Non ci sono eroi e non c’è una verità unica. Ogni personaggio porta con sé un pezzo di questa realtà sfaccettata, in cui le certezze si sgretolano di fronte alle scelte quotidiane. Nobili incarna il conflitto tra ideali e necessità pratiche. «È il personaggio in cui la contraddizione tra legalittà e illegalità si esprime nella sua forma più estrema» dice Bonini. «Senza dubbio, è la figura in cui questo dilemma si manifesta in modo più fragoroso».
La regia di Alhaique mantiene uno stile asciutto e immersivo, con riprese che seguono da vicino i protagonisti, restituendo la frenesia degli scontri e il peso delle scelte. L’uso della luce, delle ombre e dei colori cupi accompagna il senso di oppressione e domina la narrazione.
C’è molta verità storica nello sceneggiato, come conferma l’autore: «Tutte le situazioni, i contesti e le modalità operative sono fedeli alla vita reale». Ma raccontare il punto di vista di un celerino non è stato semplice: «Richiede più ricerca e curiosità. Le figure già raccontate dalla cronaca e dalla critica sono più familiari e, di conseguenza, è più semplice narrarle. Quando invece si racconta una figura poco nota e con scarsa pubblicistica, la storia diventa più interessante».
ACAB non offre risposte facili, ma invita a guardare il mondo con occhi nuovi. Una sfida per lo spettatore distratto, un viaggio nel cuore pulsante di un conflitto eterno, come quello tra ordine e libertà.