Nel fragore della stagione degli Oscar, c’è un film che ha saputo farsi strada senza clamore: Io sono ancora qui. Arrivato nelle sale italiane il 30 gennaio con BiM Production, porta sul grande schermo la ferita ancora aperta dei desaparecidos, le vittime dei regimi dittatoriali sudamericani eliminate senza lasciare traccia. Con un budget di appena un milione e mezzo di dollari, il film di Walter Salles si contrappone a colossi da centinaia di milioni come Emilia Pérez e Dune: Parte Due. Ma la sua impresa non è solo economica: è anche artistica e storica. Io sono ancora qui è il primo film brasiliano a essere candidato nella categoria Miglior Film. Fernanda Torres ha ottenuto una candidatura come Migliore Attrice, un riconoscimento che in Brasile non si vedeva dal 1999, quando a essere nominata fu proprio sua madre.
Dittatura e censura: il contesto storico di “Io sono ancora qui”
Il film inizia in Brasile, negli anni ’70, nel pieno della dittatura militare. La rapida crescita economica si scontra con la feroce repressione politica: il governo censura giornali, film e persino canzoni, imponendo un’unica narrativa accettabile, quella del regime. Il Brasile partecipa all’Operazione Condor, il programma di cooperazione tra le dittature sudamericane che mira a schiacciare ogni opposizione politica. L’eco di quel periodo traumatico risuona in tutto il film.
Io sono ancora qui sceglie di raccontare quel contesto storico tra le mura di casa della famiglia Paiva: il deputato laburista Rubens, sua moglie Eunice e i loro cinque figli. La trama si intreccia con eventi di cronaca reali, ispirandosi alle memorie di Marcelo Rubens Paiva, uno dei figli. Walter Salles, che ha frequentato la casa della famiglia, ha descritto quell’ambiente come un luogo di incontri intergenerazionali, dove politica e cultura si intrecciano. Tra le mura domestiche, la musica brasiliana censurata continuava a vivere, un dettaglio che il regista porta con sé nel film.
Eunice Paiva: il ritratto di una madre
La quotidianità di quella casa non riesce a sfuggire alla dittatura. Rubens Paiva viene arrestato, torturato e fatto sparire: diventa un desaparecido. Io sono ancora qui, però, non si sofferma sulla violenza delle carceri segrete, bensì sulla vita di chi resta. La narrazione si snoda attraverso un arco temporale vasto, dagli anni ’70 fino al 2014. L’essenza è racchiusa nello spazio domestico: Eunice lotta per mantenere un senso di normalità per i suoi figli mentre cerca risposte che non arrivano mai.
Il film diventa così un ritratto di resistenza femminile. Eunice non cede alla disperazione, non si mostra vulnerabile davanti alle telecamere: il suo sorriso diventa un atto di sfida contro chi vorrebbe vederla spezzata.La forza di Io sono ancora qui sta proprio nel suo approccio al tema: non racconta il dramma con vittimismi o scene madri di disperazione, ma attraverso la resistenza silenziosa di chi aspetta, giorno dopo giorno.