Esclusiva

Marzo 5 2025.
 
Ultimo aggiornamento: Marzo 20 2025
«Le donne ucraine non restano in silenzio», il documentario di Alisa Kovalenko

In “Impronte” la regista denuncia i crimini sessuali di cui si sono macchiati i soldati russi

«Tra gli alberi e le donne che sono sopravvissute alla violenza c’è qualcosa di simile. Se noi le proteggiamo, se ci occupiamo di loro e ce ne prendiamo cura, possono mettere radici e guarire». Sono queste le parole di Iryna Dovhan, presidente dell’associazione Sema Ukraine, in Impronte, il documentario di Alisa Kovalenko che testimonia gli abusi e i soprusi dei soldati russi sulle donne ucraine. Il film è stato presentato nella Sala stampa della Camera dei deputati su iniziativa dell’onorevole di Azione Federica Onori. 

Quando viene sradicato un albero, il terreno resta sgombro per qualche tempo, ma in breve si ricopre di erbacce, allo stesso modo una persona che ha subito una violenza sessuale porterà il trauma con sé per tutta la vita. «Non sono solo una regista: nel 2014 sono stata imprigionata e ho patito io stessa le torture. Sono stata violentata dal comandante che mi ha interrogata, prima di rilasciarmi mi ha detto “ringraziami di non averti uccisa”», racconta Kovalenko. È stata un’esigenza personale a far nascere il lavoro: «Se non mi fosse accaduto forse non l’avrei mai girato, l’esperienza ti dà un altro tipo di visione e di spinta. È una situazione particolare: noi siamo vittime e allo stesso tempo testimoni».  

Dall’inizio del 2025 in Ucraina, si sono già verificati 376 casi di violenza sessuale che sono stati perpetrati dai militari russi, ma questo è solo il numero ufficiale. La realtà cela un problema ben più grande, precedente all’invasione russa del 24 febbraio 2022 voluta dal presidente Vladimir Putin. Impronte, infatti, documenta le violenze nel Donbass a partire dal 2014, anno dell’attacco di Mosca nella regione ucraina: «Questo film rappresenta solo una piccola parte della nostra storia terribile. Ci sono le testimonianze di tante donne, tra cui un’anziana di 75 anni violentata in modo brutale. Ma c’è anche chi ha deciso di non comparire nel documentario: una ragazza di 17 anni teme, infatti, di essere rifiutata da un futuro fidanzato a causa di quello che ha subito», dice Dovhan, che ha vissuto sulla propria pelle gli stessi abusi. Ed è per questo che è nata nel 2019 Sema, che oggi conta più di sessanta membri: una comunità che, riconoscendosi negli stessi traumi, ha trasformato la sua esperienza negativa in un’occasione per sostenersi a vicenda. 

In un passaggio del filmato, una signora sta camminando tra i resti della sua casa. Tra macerie fisiche e spirituali, Impronte è un documentario per tornare a esistere, come emerge dalle sue parole: «Non mi hanno uccisa, ma mi hanno spezzata e condannata all’infelicità». Il messaggio, però, è chiaro: «Pensiamo che questo film possa fungere da strumento per superare l’immagine delle povere vittime sconfitte e piangenti. Noi non siamo vittime, ma siamo le sopravvissute» conclude Alisa Kovalenko. 

L’obiettivo della Russia è quello di incutere timore, spiega la vicepresidente della Federazione italiana dei diritti umani (Fidu) Eleonora Mongelli, «con l’uso sistematico e continuativo della violenza sessuale, per costringere il popolo ucraino alla sottomissione, deumanizzandolo. Bisogna comprendere il metodo e la sistematicità del crimine che viene espresso bene attraverso il filmato».

Intentare un processo agli autori di questi reati è, però, molto difficile: in questi giorni le autorità ucraine hanno reso noto che sono stati aperti oltre 153 mila casi relativi a possibili crimini di guerra. Il presidente della Fidu Antonio Stango spiega che «questo ci dà l’idea di come sarebbe difficile portare questi casi davanti a una corte di giustizia internazionale. Quello che noi possiamo fare è contribuire a raccogliere le prove e ad analizzarle: ci sono diverse organizzazioni che collaborano su questo». Le ucraine hanno solo un’arma per difendersi: la parola. Il nome stesso della fondazione Sema significa non tacere. «Infatti noi non restiamo in silenzio. Riuscite a sentirci?».