«Oggi sembra che non ci sia più bisogno della poesia. Sembra che i poeti siano diventati una voce inascoltata in un mondo dominato da miseria morale, superficialità e indifferenza. Ma non è così. Proprio perché viviamo in tempi convulsi e assurdi, la poesia ci dà l’occasione di ripiegarci in noi stessi, di riscoprirci affranti dalla solitudine e dall’abbandono, per poi restituirci rinnovati e interi al mondo».
Parole dense di significato che Michele Urrasio pronuncia con una convinzione e un’intensità tali da incantare chiunque abbia la fortuna di assistere ad una delle lezioni che tiene di tanto in tanto in università e circoli culturali. Poco tempo fa è stata pubblicata la sua ultima raccolta di componimenti scritti in vernacolo, Frónna jelate sott’a lune (Una foglia gelata sotto la luna), a cui, assicura, ne seguiranno presto delle altre.
Nato ottantotto anni fa ad Alberona, un piccolo borgo arrampicato sui Monti Dauni, in Puglia, si cimenta per la prima volta nella composizione di versi durante le scuole medie. Nel 1965 pubblica la sua prima raccolta, Fibra su Fibra, che gli regala un po’ di visibilità e le prime collaborazioni con giornali letterari.
Ma è nel 1970 con il Premio letterario “Umberto Bozzini”, conferitogli da una giuria presieduta dal famoso storico della letteratura italiana Mario Sansone, che avviene la sua consacrazione come poeta. Da quel momento in poi, la sua copiosa produzione lirica otterrà il plauso di pubblico e critica, e gli varrà numerosi altri riconoscimenti, tra cui quello di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

Direttore di riviste e periodici, membro di varie associazioni ed esperto di arte del Novecento, è diventato ben presto un punto di riferimento nel panorama culturale locale e nazionale. Tutte queste attività, però, non gli hanno impedito di lavorare per quarant’anni nelle scuole pubbliche come maestro. L’insegnamento, infatti, è sempre stata una colonna portante nella sua vita, come dimostrano le lezioni che ancora oggi fa all’Università della Terza Età e i laboratori di scrittura creativa attraverso i quali, alcuni anni fa, ha voluto condividere il suo amore per quest’arte con gli alunni delle scuole medie del paese natale.
A chi gli chiede cosa sia la poesia e come si arrivi a comporla, Urrasio non dà risposte scontate: «Fare poesia è difficile. Trovare le parole giuste per fare una bella rima non basta. Come diceva Platone, la poesia non deve dire ma essere. Soltanto quando il poeta si piega in se stesso e viene arato dentro dal dolore, dalla nostalgia, dalla miseria, anche dalla gioia, solo allora la voce che scaturisce dal profondo del suo animo si fa poesia, cioè espressione intima dell’intera umanità».
Ed ecco perché, secondo lui, il poeta moderno non “canta” più come gli antichi. Il suo fine non è quello di limitarsi a cogliere gli aspetti appariscenti della natura e delle cose, ma aspirare al silenzio, ad un viaggio nell’inconscio e nell’ignoto, pur di recuperare se stesso e il senso della propria identità. Solo in questo modo, potrà sollevare i suoi simili dalla prostrazione causata dal turbinio delle passioni e dei mali che li minacciano, donando un barlume di quiete. Un concetto che esprime mirabilmente in una delle sue ultime liriche:
I poeti rivestono la vita/di silenzio. Non inseguono/il respiro dell’alba/che accende le voci/del giorno, né il fruscio/ delle ali del falco che tende/all’infinito. Aspettano/ – rassegnati – che la sera/raccolga nel grembo/le ragioni del cuore/e il brusio delle stelle.
Già in questi pochi versi si possono ravvisare alcuni dei tratti caratteristici del poetare di Urrasio: la presenza costante della natura, che dà forma alle sue emozioni, il silenzio, che si identifica con il mistero delle cose, e la meticolosa ricerca delle parole, rivestite di un significato metaforico, simbolico, allusivo. I temi che ha trattato nelle sue liriche, però, sono molti di più.
Come racconta lui stesso: «Il mio curriculum poetico segue un percorso circolare. Sono partito dal mio paese e dalla sua gente contadina, dai ricordi d’infanzia, quando da ragazzo non mi importava se le gambe mi sanguinavano, graffiate dalle stoppie, pur di poter portare un po’ di acqua alla mamma che lavorava. Poi, ho visto gli orrori della guerra, ho patito la sofferenza, la solitudine e l’essere diventato orfano». Un groviglio di emozioni che trasmette con efficacia nei primi versi di Nel visibile e oltre, il componimento dedicato a suo padre, morto poco dopo il suo ritorno a casa, all’indomani della Seconda guerra mondiale:
Raccoglievo ciottoli sulle rive/del fiume quando mi fu detto/di te, del tuo ritorno./Percorsi con il cuore in gola/i sentieri di ortiche, saltai/le rovine del mulino posto/a guardia del prato. – Non l’eroe,/non il soldato: all’angolo/del camino un brandello di cuore/osava ancora battere per noi.
«In seguito mi sono distaccato dagli affetti domestici per trattare di temi sociali. Erano gli anni ’70, ’80 e le piazze fremevano per le proteste, le strade e i luoghi pubblici erano dilaniati dalle stragi, i valori di un tempo si stavano dissipando nel nulla. Ad esempio, in Attentati, lirica contenuta nella raccolta Il Segmento dell’esistenza, evoco la solitudine e la disperazione di due ragazzi».
È notte ormai. Sul selciato/non resta che l’ombra/dei tuoi vent’anni sotto il peso/dei fiori disfatti. Lontano/qualcuno si buca le vene/per dissolvere/nel delirio la tua morte.
«Infine, ho chiuso il cerchio ripiegandomi di nuovo in me stesso. Sono tornato a dialogare con il silenzio, con la mia terra d’origine e ad ascoltare i discorsi sommessi sull’uscio nelle ore di quiete». Come nella poesia A se stesso, contenuta nella raccolta Le Radici del sentimento:
Foglia stremata dal vento,/siedimi accanto:/narrami delle estati dissipate/sull’orlo del silenzio, dell’inganno/dei lumi in attesa dell’alba,/delle mani gonfie di solitudine.
Un percorso a volte doloroso, ma prezioso che gli ha permesso di esplorare le regioni interiori dell’anima, di immergersi «nelle plaghe dell’eterno e dell’infinito, sino a sfiorare la vertigine degli spazi siderali. Perché il viaggio della vita è anche e soprattutto la ricerca e l’impegno a diventare “uomo vero tra la folla”».
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