
Era già tutto previsto: i liberali hanno avuto la meglio sui conservatori. La loro vittoria, però, non è così schiacciante come il leader Mark Joseph Carney sperava. Il partito non è riuscito a superare la soglia di 172 seggi, necessaria per ottenere la maggioranza assoluta in Parlamento. Resta un risultato sorprendente, se si pensa che qualche mese fa i liberali erano dati per spacciati.
È impossibile commentare l’esito di queste elezioni senza citare gli Stati Uniti. Con il loro voto, i cittadini canadesi non hanno solo rinnovato la Camera dei Comuni. Hanno deciso da che parte stare rispetto a un vicino sempre più invadente, che vorrebbe fare del loro Paese «il 51esimo Stato degli USA». Le ripetute minacce di annessione e la guerra dei dazi commerciali avviata da Donald Trump hanno stravolto tutti i sondaggi.

Fino a gennaio i conservatori di Pierre Poilievre erano dati per favoriti con ampio margine. Il partito liberale stava attraversando una delle peggiori crisi della sua storia: il primo ministro Justin Trudeau era diventato impopolare persino tra i suoi stessi alleati, che ne chiedevano le dimissioni. Messo con le spalle al muro, Trudeau aveva lasciato la presidenza e la direzione del partito a Carney, che ha subito indetto elezioni anticipate.
Da allora le cose sono cambiate e non poco. Secondo gli opinion polls da CBC News, la popolarità dei liberali è cresciuta del 22% in poche settimane. I canadesi hanno trovato in Carney un alleato contro le politiche ostili statunitensi. A suo favore giocava il ricco curriculum vitae da economista. È stato governatore della Banca del Canada durante la Grande Recessione del 2008 e della Banca d’Inghilterra a cavallo della Brexit. Gli elettori si sono affidati al candidato più competente per guidare il Paese in questi tempi di crisi: la crescita economica è in stallo da anni, l’inflazione è rampante e i dazi di Trump possono solo peggiorare la situazione.
Il candidato dei conservatori Poilievre, al contrario, ha perso consenso tra i cittadini. Gli avversari lo accusano di «parlare come Trump»: fino a qualche settimana fa il suo slogan era “Canada First” (prima il Canada), molto vicino alla comunicazione dei repubblicani USA. Poi la sua strategia è cambiata: “Vote for change” era il nuovo pitch del partito. Anche i conservatori avevano iniziato a intuire quello che ai liberali era chiaro sin dall’inizio della campagna. Niente può unire i canadesi più della lotta contro un nemico condiviso.
«L’America vuole la nostra terra, la nostra acqua, le nostre risorse», ha commentato Carney dopo la chiusura delle urne. «Trump sta cercando di romperci in modo che gli Stati Uniti ci possano controllare. Questo non succederà mai e poi mai». I liberali promettono un potenziamento del settore energetico e industriale per rendere il Paese più autosufficiente e smarcarlo dal controllo economico statunitense. “Canada STRONG” (Canada FORTE) è il loro slogan. Dal punto di vista del welfare, si prevedono tagli delle tasse e aiuti per i lavoratori colpiti dai dazi, oltre a una riforma del sistema sanitario e un ambizioso piano di politiche abitative.
Con più di trenta milioni di cittadini al voto, le elezioni del 2025 hanno fatto registrare un’affluenza record. La stampa internazionale le ha dipinte come un referendum de facto: con o contro Trump. Il presidente statunitense aveva colto l’occasione dell’Election Day per un’ultima frecciatina sui social. Con un post su Truth, aveva invitato i canadesi a votare per diventare l’«amato 51esimo Stato degli USA». «Niente più confini disegnati a tavolino molti anni fa», scrive. «Guardate quanto sarebbe bella questa massa di terra. Libero accesso SENZA FRONTIERE. TUTTI PRO E NESSUN CONTRO. È IL DESTINO».
