Esclusiva

Maggio 13 2025.
 
Ultimo aggiornamento: Maggio 14 2025
Elezioni in Corea del Sud, l’incognita di Pyongyang

Lee Jae-myung è il principale candidato per succedere al presidente conservatore Yoon Suk-yeol, destituito dopo il tentativo di imporre la legge marziale

«In caso di vittoria alle elezioni, il progressista Lee tenterà una riconciliazione e un maggior dialogo con la Corea del Nord», è netto Marco Milani, esperto di Corea del Sud e ricercatore all’Università di Bologna. Con l’incognita sulle relazioni inter-coreane, Seul si avvicina alle elezioni anticipate del prossimo 3 giugno. I candidati sono Lee Jae-myung del Partito Democratico, Lee Jun-seok del New Reform Party, formazione liberale, e Kim Moon-soo, nominato dal Partito del Potere Popolare, di stampo conservatore. L’ex primo ministro e presidente a interim Han Duk-soo aveva deciso di correre per la vittoria, ma non si è trovato un accordo tra lui e Kim per unificare le candidature e la scelta dei conservatori è ricaduta su Kim.

Il fronte democratico ha la strada spianata?

Forte del 90% dei voti alle primarie del suo partito, Lee è il principale candidato per succedere al presidente conservatore Yoon Suk-yeol, destituito dopo il tentativo di imporre la legge marziale alla fine dello scorso anno. Lee ha servito come governatore di Gyeonggi, la provincia più popolosa della Corea del Sud, e come sindaco della città di Seongnam. «Non sono solo il candidato del Partito Democratico, ma di tutte le persone che desiderano la fine dell’insurrezione, il superamento della crisi e la ricerca dell’unità e della felicità», ha dichiarato nel suo discorso di accettazione dopo aver ottenuto la nomina.

Il sessantenne ha guidato il processo di impeachment contro l’ex presidente Yoon per l’ordine di legge marziale che ha gettato nel caos una delle democrazie più vivaci del continente asiatico. La piattaforma di Lee è la stessa con cui fu sconfitto nelle precedenti elezioni proprio contro Yoon per lo 0,73%, il margine più ristretto mai registrato nel Paese. Malgrado posizioni più conservatrici sul tema dei diritti Lgbtqia+, l’esponente appartiene alla fazione più progressista del suo partito. Anche se a Seul si respira ancora un clima di divisione, Lee ha promesso di guidare il Paese fuori dalla turbolenza politica: «La situazione si sta un po’ calmando perché gennaio e febbraio sono stati i mesi più caldi. Dopo che il 4 aprile la Corte costituzionale ha confermato l’impeachment la situazione dal punto di vista sociale e politico sta rientrando, anche se il clima non è dei più sereni», puntualizza il ricercatore.


Il programma del candidato democratico Lee

Lee intende potenziare le capacità difensive della Corea del Sud e posizionare il paese come leader nelle industrie ad alta tecnologia. Ha insistito sulla necessità di investire sull’intelligenza artificiale e sulla modernizzazione delle forze armate. «Lee sembra trarre vantaggio dalla confusione causata dalla dichiarazione di legge marziale di Yoon e dal successivo impeachment», ha detto a This Week in Asia Jung Suk-koo, ex vicedirettore esecutivo del quotidiano progressista Hankyoreh. «Se vincesse darebbe maggior attenzione alle politiche sociali, soprattutto riguardo il tema dei diritti dei lavoratori, del sostegno alle classi più disagiate. E avrebbe una posizione più dura verso i grandi gruppi industriali presenti nel Paese», spiega Milani.

Conosciuto per la sua posizione anti-establishment, il candidato ha costruito una reputazione come paladino nella lotta contro la corruzione e le disuguaglianze, anche se alcuni guai giudiziari lo coinvolgono in prima persona. L’esponente progressista è accusato di aver violato le leggi elettorali, diffondendo “false informazioni” ai cittadini durante la campagna per le presidenziali del 2022. Il caso è uno dei cinque che sta combattendo, poiché è accusato anche di spergiuro, abuso di fiducia, trasferimento non autorizzato di denaro alla Corea del Nord e appropriazione indebita di fondi pubblici.

Il fronte conservatore rincorre

Il candidato per lo schieramento conservatore è il settantatreenne Kim Moon Soo, ex ministro del Lavoro. La compagine deve fronteggiare l’ascesa del rivale Lee e fatica a riconquistare compattezza interna dopo che l’ex presidente Yoon ha catapultato la Nazione nell’instabilità. «Per loro la situazione è più complicata perché sono il partito del presidente che ha tentato il colpo di stato. Kim si è distanziato dalla legge marziale dell’ex presidente, senza però condannare le politiche promosse da Yoon».

Il partito è a favore di una posizione più dura e di confronto verso la Corea del Nord, quella tenuta negli ultimi due anni. Al di là delle provocazioni militari che sono una costante da 15 anni a questa parte, nell’ultimo anno Pyongyang ha dichiarato pubblicamente di non esser più interessata alla riunificazione e che Seul è un nemico. Lo scenario internazionale è cambiato nel tempo e il Paese guidato dal presidente Kim-Jong-un non è più isolato, facendo parte di un’alleanza di autocrazie con la Russia, l’Iran, la Bielorussia. Sul piano interno, «i conservatori portano avanti una riforma del mercato del lavoro, del sistema pensionistico e dell’istruzione, tutte in senso neoliberista», prosegue l’esperto. Il partito vuole mantenere un forte legame con l’alleato americano e siglare con l’amministrazione Trump un accordo che giovi al Paese, perché «il mercato americano è fondamentale per le esportazioni sudcoreane».

Finisce la corsa dell’ex primo ministro Han 

Nominato primo ministro da Yoon nel 2022, il settantacinquenne Han deve arrendersi e lasciare spazio a Kim. Già ministro delle Finanze, ambasciatore presso l’OCSE – l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico – e capo di vari think tank, Han vanta un dottorato in economia a Harvard e ha un passato da ambasciatore negli Stati Uniti. Inoltre, ha ricoperto il ruolo di membro del consiglio di amministrazione di S-Oil, una raffineria sudcoreana controllata da Saudi Aramco, compagnia nazionale saudita di idrocarburi.

Se la scelta dei conservatori fosse ricaduta su di lui, Han avrebbe proposto una riforma costituzionale con uno scopo preciso: dare la possibilità a un presidente di avere due mandati di quattro anni, dato che oggi ha un mandato di cinque anni non rinnovabile: «L’obiettivo è armonizzare l’elezione del presidente con quella del parlamento affinché avvengano nello stesso anno, dato che il parlamento viene eletto ogni quattro anni. Ciò aiuterebbe a stemperare i dissidi che ci sono stati tra un presidente conservatore e un parlamento a maggioranza democratica», conclude Milani.