Durante la Guerra dei cent’anni, combattuta da Inghilterra e Francia tra il 1300 e il 1400, un contadino franco è stato arrestato dai britannici perché li aveva offesi. Quando il giudice gli chiede come mai abbia rivolto quelle parole ai sudditi di sua maestà, il francese risponde: «Voi bevete birra, noi il vino». L’identità di un popolo, e quindi di una nazione, si fonda anche su piccoli aspetti della vita quotidiana che spesso vengono dati per scontato, in questo caso il vino. Ed è proprio il frutto della vite il protagonista del nuovo libro di Francesco Maria Spanò, Direttore People & Culture della Luiss Guido Carli e promotore Tentative List per le testimonianze della cultura italo greca tra Alto e Basso Medioevo, e di Erminia Gerini Tricarico, laureata in Giurisprudenza e con un master in Diritto penale e criminologia: Il vino. Storia e storie dalla Bibbia all’intelligenza artificiale.
Nella Capitale all’interno dello Spazio dell’editore Cangemi, tra Piazza Navona, Campo de’ Fiori e il fiume Tevere, si è svolta quella che il Console generale di Francia a Roma Fabrice Maiolino ha definito una «tavola rotonda» a cui hanno partecipato, oltre ai due scrittori, anche il professore emerito di Storia e Sociologia politica di Sciences Po, titolare della Cattedra BNL-BnP Panbas “Relazioni italo-francesi per l’Europa” dell’Università Guido Carli, il professore ordinario di Scienze politiche della Luiss Mark Thatcher e la ricercatrice dell’Università di Treno e co-presidente della sezione italiana di Sciences Po Alumni Camilla Pagani.
Il Console Maiolino inizia la presentazione ricordando come «il rapporto tra vino, arte e politica è il pilastro della cultura che mostra l’importanza del valore umano. Il vino, infatti, ha sempre ispirato gli artisti, i poeti e i letterati e ha anche marcato i momenti principali della storia dell’umanità». La bevanda, quindi, è legata alla storia e all’identità di un popolo, in particolare per gli italiani e i francesi, ma quando gli chiediamo se tra i due paesi ci sia una qualche rivalità, il Console risponde che «si tratta solo di diversità: è una questione di terroir».
Questa parola francese non ha un corrispettivo in italiano e questo è «molto strano» pensa il professore Thatcher. Il termine richiama il rapporto che lega un vitigno alle caratteristiche del suolo dove è coltivato e che dà l’unicità al prodotto. Ma il concetto di terroir richiama anche l’appartenenza: «A differenza di un inglese, – continua Thatcher – un francese o un italiano alla domanda ‘da dove vieni?’ risponderà non con il Paese di origine, ma con un posto molto specifico, che sia la città o la regione». Parlando del libro, il professore spiega che è strutturato in modo tale che il lettore possa gustarlo come se stesse bevendo una bottiglia di vino e sottolinea come l’importanza della bevanda si veda «nella vita sociale perché, mentre la birra si può gustare anche da soli, il vino si condivide».
E sulla sua natura sociale ha insistito anche il professore Lazar. La Francia, dopo l’Italia, è il secondo maggior produttore di vino al mondo, ed è diventato talmente parte dell’identità del Paese – tanto che fu vietato nelle mense scolastiche solo nel 1956 – che in tutta Europa, a partire dall’Ottocento, si è diffuso un modo di vivere alla francese. Nei romanzi dello scrittore russo Lev Tolstoj, infatti, l’aristocrazia di San Pietroburgo beve lo Chablis. Dopo la presentazione, Lazar ha spiegato meglio a Zeta perché il modello francese si è diffuso così tanto a differenza di quello italiano: «Rispetto alla Francia, l’Italia è un paese giovane: è mancata una dimensione nazionale perché è nata quattrocento anni dopo».
Il libro ha permesso a Francesco Maria Spanò di ritornare alle sue origini e di raccontare la storia della sua città Gerace dove è nato il vino greco di Gerace, oggi chiamato il Bianco, «e abbiamo iniziato spaziare e abbiamo ripreso la storia del vino partendo dalla Bibbia per arrivare ai nostri giorni fino all’Intelligenza artificiale, il tutto però ricamato con un’importante rappresentazione iconografica e oggettistica di come la storia dell’arte abbia sempre seguito il vino: prima con gli oggetti, i vasi magnogreci, le coppe, le sculture greco-romane e poi con la pittura. Tutti i più grandi artisti del mondo hanno sempre dedicato qualcosa al vino».
Lo sforzo di tracciare la storia del vino dalle origini fino ai giorni nostri è ancora più difficile se si è astemi, come il caso di Erminia Gerini Tricarico. Dopo la presentazione, le chiediamo perché scrivere su qualcosa che non ha mai bevuto e la scrittrice racconta la sua storia. «Scrivendo questo libro ho scoperto in realtà che stavo cercando una risposta a una domanda che non ho mai avuto il coraggio di fare a mio padre». Ricorda che per un problema di salute, il medico gli aveva proibito di bere il vino, ma si vede rispondere “Ma come? Senza vino che vita è?”. «Per me questa cosa non aveva una spiegazione, ogni volta mi ripromettevo di chiederglielo, ma non l’ho mai fatto. La risposta l’ho trovata in una frase della tragedia Baccanti del tragediografo greco Euripide “Dio concede al ricco e al povero il dono del vino”. Allora ho capito: per mio padre il vino era l’appagamento. Dopo una giornata di lavoro, la sera beveva il suo bicchiere e questo rappresentava il momento in cui poteva riposarsi».