Esclusiva

Maggio 30 2025.
 
Ultimo aggiornamento: Giugno 3 2025
Cittadina italiana dopo 22 anni: «Il referendum è il primo passo»

Victoria Karam, nata in Italia, racconta il lungo percorso per ottenere la cittadinanza e combattere i pregiudizi con il progetto “Volti Italiani”

Victoria Karam ha undici anni ed è in questura a Vicenza per rinnovare il permesso di soggiorno in Italia, dove è nata. Lo stesso fa la madre, brasiliana, ma residente nel Paese da anni. Una pratica da sbrigare ogni cinque anni per chi non ha la cittadinanza. Tra i funzionari si sente una battuta: «Ah beh, immagino cosa siete venuti a fare dal Brasile». Sono passati diciotto anni e Victoria non ha ancora dimenticato quel momento. «Ricordo il sorriso compiaciuto della donna – racconta – anche se non capii la situazione, a quell’età non hai la malizia per capire. Vidi mia madre incavolarsi tantissimo. Rispose in modo altrettanto poco carino. Poi in macchina mi disse: “Non permettere mai a nessuno di parlarti in questo modo”. Una lezione di vita».

Quello non è stato il momento in cui Victoria ha compreso la questione della cittadinanza. Era già successo prima: «Viaggiavo spesso da sola, accompagnata da una hostess ovviamente, perché mi capitava di raggiungere la mia famiglia in Brasile. E mi chiedevano di mostrare i libri in italiano, per vedere se davvero studiassi lì». Fra Vicenza e Bologna si è diplomata e poi laureata in Scienze politiche, acquisendo anche una cadenza nordica. Oggi lavora al Parlamento europeo e sui social racconta storie di ragazzi che sono in attesa, da anni, di potersi definire cittadini italiani.

Victoria ne ha aspettati quasi ventitré per poterlo fare. Eppure, è nata in Italia: «Mio padre è stato un giocatore di hockey ed è stato acquistato da una squadra di Serie A. Mia mamma lo ha raggiunto poco dopo. Io sono nata a Salerno e, per seguirlo, ho girato l’Italia e non solo, data un’esperienza in Spagna. Poi in realtà i miei genitori si sono separati e mia mamma si è sposata con un uomo vicentino». 

Un’infanzia in cui non ci sono stati episodi di razzismo o discriminazione: «A parte quello in questura, non ne ricordo altri. Anche perché guardandomi fai fatica a dire che non sono italiana. L’unico modo per capirlo, forse, è il cognome». Gli ostacoli, semmai, sono stati burocratici: «Ci sono dei mestieri a cui non avrei potuto accedere, come notaio, magistrato, professore di ruolo, poliziotto, carabiniere e altri. Così come non avrei potuto accedere a bonus statali, se fossi diventata mamma ad esempio. Alle persone non è chiaro. Tante volte mi dicono che non cambia nulla, ma non è vero. Ci sono problemi anche per i contratti d’affitto o di lavoro».

Quindi, il referendum abrogativo dell’8 e 9 giugno sarà un’opportunità. Uno dei cinque quesiti riporterebbe in vigore quello che era stato deciso con la legge del 1992: bastano cinque anni per poter chiedere la cittadinanza. «Difficilmente si arriverà al quorum – dice – ma l’importante sarà continuare a parlarne anche dopo. Parliamo di due milioni di persone già residenti in Italia, che rispettano requisiti necessari per avanzare la richiesta, come il reddito costante negli ultimi tre anni, un esame di lingua superato o la fedina penale pulita. È un controsenso perché l’Italia spende soldi per formare anche gli extracomunitari e poi chiude la porta in faccia quando si tratta di accedere a professioni che sono necessarie per la società».

Victoria si sofferma su quelle «stupidaggini burocratiche» che rallentano le pratiche. E per questo guarda oltre: «Il referendum non è particolarmente ambizioso, non modifica l’assetto mentale del tema. Ma è comunque un primo passo perché snellisci e cerchi di velocizzare un pochino il riconoscimento di un dato di fatto per tantissime persone. Va nella direzione giusta, ma non mette al passo la società».

Per farlo, servirà cambiare la percezione degli italiani. Così, Victoria ha creato la pagina Instagram “Volti Italiani – storie di cittadinanza”. Uno spazio in cui una foto accompagna la storia di un ragazzo o di una ragazza che non ha ancora la cittadinanza o ha aspettato anni per averla. «In primis volevo rompere il collegamento che la gente ha tra cittadinanza e immigrazione irregolare, far capire che sono cose diverse. Poi, c’è la voglia di mettere insieme più persone possibile per dimostrare che in realtà si ha paura di persone che fanno parte della società italiana da sempre, che qui lavorano, studiano, si sono formati, sono cresciuti, contribuiscono allo sviluppo del Paese pagando le tasse. Io credo che appartenere a una società dipenda dalla cultura, dalla lingua, dalla volontà di cambiarla andando a votare».

La fondatrice parla di come si è sviluppato il progetto: «All’inizio c’è stato un po’ di scouting perché dovevo trovare persone che volessero mettere la faccia e condividere la loro storia. Adesso è più semplice, sono loro a contattarmi. Ho notato grande voglia di fare comunità, mettersi insieme e dare una mano». Alcune storie hanno attirato la sua attenzione: «C’è una ragazzo che fa ricerca all’università di Padova e non può richiedere la cittadinanza perché il mestiere di ricercatore non ha uno stipendio sufficientemente alto. E sta qui da 24 anni».

Raccontando situazioni del genere, Victoria punta a «cambiare la mentalità». «Un obiettivo che si potrà raggiungere quando tutti conosceranno qualcuno con un background migratorio. Serve un lavoro che parta dalla scuola e mostri che la società è assolutamente inclusiva, con persone che arrivano da tutto il mondo», conclude. 

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