Esclusiva

Giugno 12 2025
Migranti a Guantanamo: «Trump sempre più autoritario»

Secondo il Washington Post tra i 9 mila stranieri coinvolti ci sarebbero anche cittadini italiani. Ma Tajani rassicura: «Rimpatriamo gli irregolari»

Secondo quanto riporta il Washington Post, il potenziale trasferimento nella base militare di Guantanamo di migliaia di stranieri – considerati illegali negli Stati Uniti – coinvolgerebbe anche cittadini italiani. Il presidente americano Donald Trump ha espresso la volontà di inviare fino a 9.000 migranti nella prigione di massima sicurezza. Tra questi, secondo il quotidiano statunitense, ci sarebbero non solo italiani, ma anche tedeschi, francesi e britannici.

«Trump sta spingendo verso un modello sempre più autoritario, facendo leva su strumenti giuridici estremi come l’Insurrection Act e cercando di concentrare tutto il potere nelle sue mani, al di là delle istituzioni e delle leggi federali», spiega Alessia Melcangi, politologa e docente all’Università La Sapienza di Roma.

Nel frattempo, da parte del governo italiano è arrivata una risposta rassicurante. «L’Italia è disposta a riprendere gli irregolari nel pieno rispetto dei loro diritti. Non vi è possibilità che gli italiani siano trasferiti a Guantanamo, non c’è da allarmarsi. Siamo disponibili a rimpatriare gli irregolari», ha dichiarato il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Tuttavia, le opposizioni chiedono che il ministro riferisca in Aula per chiarire la posizione del governo.

Secondo Politico, l’uso della struttura invierebbe un forte segnale di deterrenza, inserendosi nella linea dura sull’immigrazione promossa da Trump, tema centrale della sua campagna elettorale. Come si legge sul sito statunitense, «sarebbe un aumento esponenziale rispetto ai circa 500 migranti che sono stati trattenuti per brevi periodi nella base da febbraio e rappresenterebbe un passo importante verso la realizzazione del piano annunciato dal presidente Donald Trump a gennaio, che prevede l’utilizzo della struttura per ospitare fino a 30.000 migranti». Sempre secondo documenti ottenuti da Politico, «i trasferimenti a Guantanamo potrebbero iniziare già da mercoledì» e «ci si aspetta che i detenuti rimangano nella struttura temporaneamente prima di essere deportati nei loro Paesi d’origine».

Per Melcangi, però, dietro queste scelte c’è una strategia politica precisa: «Los Angeles è diventata un banco di prova. Si alimenta una narrazione di emergenza per giustificare misure repressive, anche quando la situazione è sotto controllo». E lo dimostrerebbe anche quanto accaduto nei giorni scorsi proprio nella città californiana: la sindaca Karen Bass ha imposto il coprifuoco dalle 20 del 10 giugno fino alle 6 del mattino seguente, dopo che vari esercizi commerciali erano stati saccheggiati. Il provvedimento è arrivato su richiesta dei residenti, ma nel frattempo è stata anche mobilitata la Guardia nazionale a seguito dei raid anti-immigrati.

La base di Guantanamo, situata su suolo cubano, è tristemente nota per aver ospitato per anni sospetti terroristi detenuti dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. L’eventualità che possa tornare ad accogliere prigionieri, questa volta migranti irregolari, solleva non pochi dubbi. «Richiamare Guantanamo significa evocare uno dei simboli più controversi della guerra al terrore – sottolinea Melcangi – una memoria che pensavamo di aver archiviato. Ma oggi viene ripescata per fini interni, in un clima da stato d’assedio permanente».

Per la politologa, si tratta di un segnale politico che va oltre i confini americani e tocca direttamente anche l’Europa: «Siamo di fronte a una torsione democratica che si riflette anche fuori dagli Stati Uniti, perché coinvolge cittadini europei e obbliga i governi a reagire. È un cortocircuito che preoccupa».