Esclusiva

Giugno 23 2025.
 
Ultimo aggiornamento: Giugno 25 2025
AAA Medico di base cercasi

Nella seconda puntata di “Ma la sanità?” analizziamo le cause e le possibili soluzioni di una delle piaghe che affliggono il sistema sanitario nazionale: la carenza dei medici di base

«La mia giornata tipo inizia molto presto al mattino. Nell’ambulatorio, che condivido con altri colleghi, ricevo i pazienti per circa 5-6 ore. Al momento ne seguo circa 2000. Per fortuna, abbiamo due segretarie e un’infermiera che ci aiutano a rispondere alle telefonate e con le ricette. Ma se teniamo conto dei frequenti disservizi del sistema informatico regionale, le ore di lavoro spesso non si contano».

Con queste parole la dottoressa Anna Carla Pozzi, che lavora a Pioltello, piccola città dell’hinterland milanese, ci offre lo spaccato di una categoria in affanno. In Italia i medici di famiglia sono sempre meno e nei prossimi anni il loro numero continuerà a diminuire. Una tendenza che, senza l’intervento congiunto di politica e associazioni di categoria, renderà l’accesso gratuito all’assistenza primaria un miraggio per milioni di cittadini.

Di questo tema tratta la seconda puntata di Ma la sanità?, il podcast realizzato dalla redazione di ZetaLuiss. Attraverso l’analisi dei dati e le testimonianze di medici e politici, offriamo agli ascoltatori una guida per comprendere le cause di questa crisi e fare chiarezza sulle soluzioni adottate. Per un futuro in cui la salute di tutti possa essere considerata ancora un diritto da tutelare e non una voce da tagliare nella spesa pubblica. 

Secondo i dati forniti dalla Federazione Italiana dei Medici di Medicina Generale (FIMMG), tra il 2023 e il 2026 si verificherà il più grande ricambio generazionale da cinquant’anni a questa parte. Più di 11.000 dottori compiranno 70 anni, l’età massima per rimanere in servizio, ma le nuove leve che li sostituiranno non saranno abbastanza per occupare tutti i posti vacanti. Ciò significa che il tetto massimo di pazienti da seguire per ciascuno di loro salirà fino a 2000 persone, rendendo l’assistenza sanitaria meno efficiente e capillare sul territorio.  

Le ragioni di questa carenza sono molteplici e pregresse: il numero chiuso alla facoltà di medicina che ha limitato per anni l’accesso alla professione, la scarsa attrattività di un mestiere sempre più gravoso e pieno di responsabilità che ha spinto molti neolaureati a diventare specialisti invece che medici di base, il finanziamento da parte dello Stato delle strutture private a scapito di quelle pubbliche.

Dopo la pandemia di Covid-19, che ha messo a nudo le fragilità di un sistema ormai fatiscente e abbandonato a se stesso, la classe politica ha scelto di intervenire destinando i fondi del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) alla costruzione delle Case di comunità. Si tratta di strutture multidisciplinari in cui i medici di famiglia dovrebbero lavorare in sinergia con gli specialisti per fornire ai pazienti un’assistenza il più possibile completa, riducendo così la pressione sui Pronto soccorsi.

Tuttavia, secondo la dottoressa Marina Aimati, Presidente della federazione dei medici di medicina generale di Latina, questa non può essere l’unica soluzione: «Le Case di Comunità sono un passo importante ma rischiano di rimanere delle scatole vuote, proprio perché non abbiamo abbastanza dottori e infermieri» racconta. «Se scegliessimo di puntare solo su queste strutture, la presenza capillare della medicina generale sul territorio verrebbe meno. Penso, quindi, che sarebbe bene differenziare le prestazioni erogate: nelle Case di Comunità si potrebbe fare una diagnostica di secondo livello, mentre negli ambulatori dei medici di base si darebbero risposte veloci ai bisogni più immediati dei pazienti».

In un Paese in cui la popolazione anziana è in costante aumento e sempre più persone rinunciano a curarsi a causa dei costi o delle lunghe liste d’attesa, garantire l’accesso gratuito all’assistenza primaria dovrebbe tornare al centro delle priorità politiche. Oggi, investire nella medicina generale significa non solo ridare dignità e valore a una professione essenziale, ma soprattutto evitare che il diritto alla salute si trasformi in un privilegio per pochi.