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Esclusiva

Gennaio 1 2020
Brexit? More Prosecco, please

Con la Brexit ormai alle porte, le vendite nel principale mercato estero del Prosecco, il Regno Unito, rischiano di subire una battuta d’arresto. Stando agli esperti, però, le bollicine simbolo del made in Italy sono un lusso che non smette di sedurre i sudditi di sua Maestà.

«È ancora presto per definire quali saranno gli effetti della Brexit, bisognerà aspettare i primi mesi del 2020. Ma sono sicuro che il Prosecco e il nostro export alimentare di qualità reggeranno l’impatto della svolta». San Silvestro, il nuovo anno che inizia, brindare sì, ma con cosa? La sfida è aperta e, a sorpresa, di questi tempi anche gli animi più monarchici sembrano esser conquistati dall’abbordabilità democratica del Prosecco nostrano. Lo dimostra il sorpasso che tra i sudditi di sua maestà la Regina d’Inghilterra hanno avuto le bollicine italiane sul cugino francese Champagne 

Brexit e bollicine 

La diffusione del Prosecco negli ultimi dieci anni è cresciuta esponenzialmente. Oltremanica, su 827 milioni di euro di export di vino italiano, il Prosecco da solo ne vale 348. I mercati fondamentali per l’export, che ormai pesa quasi per il 70 per cento sulla produzione totale sono infatti in ordine: Regno Unito, Stati Uniti, Germania e Francia. E il fatto che quello francese rappresenti il quarto mercato mondiale, a detta del Consorzio della Doc, è motivo di forte vanto.  

Vendemiano Sartor, trevigiano, Presidente provinciale di Confartigianato si dichiara fiducioso: «È ancora presto per definire quali saranno gli effetti della Brexit, bisognerà aspettare i primi mesi del 2020, quando il Regno Unito sarà veramente fuori dall’Europa, per capire che tipo di conseguenze potrebbero subire in maniera concreta le nostre aziende. Ma sono sicuro che il Prosecco e il nostro export alimentare di qualità reggeranno l’impatto della svolta». 

Nelle ultime settimane sta facendo parlare di sé un rapporto della Coldiretti, rilanciato anche da molti media nazionali in cui si sottolinea che, nonostante le incertezze della Brexit, guardando alle cifre dei primi 9 mesi del 2019 l’export del vino italiano verso il Regno Unito abbia avuto un lusinghiero aumento del 14 per cento. 

Flavio Geretto, Direttore estero di Villa Sandi, azienda vitivinicola di Crocetta del Montello, in provincia di Treviso, leader nella produzione di vini e Prosecco Doc e Docg in Veneto e in Friuli ha una visione leggermente diversa dai numeri: «Diciamo che rispetto ai dati di Coldiretti io mi rifarei di più a quelli del Consorzio Doc, che parlano di un’ottima crescita sì, ma non in doppia cifra». 

Geretto, a capo della divisione in questi anni concitati del post-referendum inglese aggiunge: «Sono stati tre anni di precarietà, a volte non è nemmeno più che cosa si decide, ma il fatto che si prenda una decisione una volta per tutte». Insomma, più che la Brexit, agli imprenditori fa paura la dimensione di incertezza economica che quest’ultima si porta dietro. 

 

I problemi dell’export 

Pur rimanendo ottimisti, i produttori non perdono il contatto con la realtà, anche perché allo stato attuale, molti dei dubbi riguardo al futuro del commercio in terra d’Albione rimangono irrisolti. «Le nostre preoccupazioni sono sostanzialmente due – continua Geretto – uno è il prezzo al consumatore, soprattutto in un mercato come quello britannico dove il duty – i dazi di importazione ndr – è già molto alto. La seconda è sicuramente la logistica, nel momento in cui non vi siano regole chiare si possono creare degli intoppi doganali, strozzature nel flusso delle esportazioni, con dei blocchi a tempo indeterminato a Calais ad esempio. Per noi sarebbero grosse perdite».  

Anni fa, il consumatore inglese comprava più guardando la denominazione, «bastava che una bottiglia avesse scritto in etichetta “Prosecco” per essere acquistata». Ora i gusti si sono affinati, e «chi è veramente emerso tra gli altri marchi è chi come noi ha saputo fare più branding. Nel nostro caso con vari master-class di formazione ed eventi, come il Best Sommelier UK che da quest’anno porta il nome di “Villa Sandi Award”». Anche i problemi legati alle contraffazioni e ai dubbi sul rispetto della verifica delle Indicazioni geografiche protette, dopo l’uscita dall’Unione Europea, non sembrano spaventare più di tanto, «il cliente non è stupido, sa quello che vuole bere». 

 

Prosecco, una storia non solo veneta 

Sull’altipiano carsico, nel pieno della Costiera triestina, e ben lontano dalla Marca Trevigiana c’è un piccolo borgo con un nome curioso: Prosecco, appunto. Bisogna pensare che prima del Cinquecento non c’erano tante denominazioni, non si andava troppo per il sottile, il vino o era “bianco” o era “rosso”, i nostri avi erano molto più prosaici di noi.  

Il vino bianco in Friuli era chiamato Ribolla. Con l’introduzione del Glera, che è il vitigno dalle cui piante è tutt’ora fatto il Prosecco, in territorio friulano ci si rese conto che nonostante fosse bianco, era molto più leggero, troppo diverso dai vini locali, molto più corposi, serviva una parola per differenziarlo, e si scelse il nome di quel borghetto tra Santa Croce e Grignano, alle porte di Trieste. Con il passare dei secoli, la produzione andò scemando nelle zone d’origine iniziando invece a crescere nel trevigiano.  

Era imprescindibile, nel momento in cui si decidesse di battezzare e quindi circoscrivere una zona regolamentata per la produzione di questo vino, non includere quella stessa località che in origine gli ha dato il nome. Il Prosecco è storicamente un prodotto del Nord Est, quindi Veneto e Friulano, non solo circoscritto alle colline che circondano Conegliano e Valdobbiadene.  

È il 2009, in pieno Berlusconi IV, al ministero dell’Agricoltura c’è Luca Zaia, attuale governatore del Veneto. È sua l’idea della creazione della Doc, la denominazione di origine controllata, che gli è valsa un largo seguito anche nel mondo dell’imprenditoria. Oggi, a distanza di un decennio, l’area ha un peso importante, in grado di fare massa critica e pesare nelle decisioni. Parliamo di circa 33 mila ettari, e con un export che pesa per il 70 per cento della produzione.  

Ma come rispettare la qualità oltre che la quantità? A tutto c’è un limite. E quindi se il mantra fino allo scorso anno era l’espansione, adesso la parola d’ordine è una battuta di arresto. Dal primo di agosto è stato vietato l’impianto di nuovi vigneti di Glera nelle aree collinari di Conegliano e Valdobbiadene, quelle storiche della Docg. Stessa sorte per la zona di Asolo, mentre la Doc aveva già detto stop in precedenza.  

[Crediti foto: ANSA/US ENOTECA ITALIANA]