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Esclusiva

Marzo 5 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Maggio 1 2022
“La Turchia ricatta ma l’Europa può reagire”

Nonostante il fragile cessate il fuoco raggiunto in Siria, la Turchia è ancora capace di tenere in pugno l’Europa

Mentre le stato maggiore dell’Unione Europea vola ad Atene per ribadire il sostegno alla “scudo” greco – come lo ha definito la Presidente della Commissione europea Ursula von der Layer – la Siria è sotto il fuoco dell’esercito del regime Siriano e dei ribelli spalleggiati dalla Turchia di Erdogan. E’ lui a tenere in scacco l’Europa attraverso la riapertura del confine verso la Grecia, dove da giorni gruppi di migranti spingono per raggiungere il continente. L’Unione potrebbe decidere una nuova tranche di finanziamenti  per tenere a bada Erdogan, ma “il problema dei profughi non è in Turchia, è in Siria”, dice Eugenio Dacrema, responsabile dell’area Medio Oriente presso l’Ispi (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale). Un modo per dire che i profughi nascono laddove c’è la guerra e non altrove. Una guerra in cui la Turchia è in prima linea attraverso il sostegno dei ribelli siriani arroccati nel nord-ovest del paese: a Idlib

«Erdogan è in difficoltà: l’offensiva del regime siriano è stata particolarmente brutale: sono state intraprese azioni contro i civili condannate perfino dalla Russia, alleata di Assad». Per questo la Turchia sta cercando l’aiuto dell’Europa, per non finire in un angolo. Per farlo ha bisogno delle ennesima arma di ricatto: aprire le frontiere e sperare che il flusso spaventi la Grecia insieme al resto d’Europa. La tregua raggiunta nell’incontro tra Erdogan e Putin ha il sapore di un fragile cessate il fuoco. «Quelli sulla Siria sono sempre accordi momentanei e distanti dalla soluzione, i conflitti si riaccendono dopo pochi mesi», dice Dacrema. «L’Europa dovrebbe trovare un accordo con i soggetti coinvolti. Con la Russia potrebbe premere sul capitolo sanzioni e con la Turchia invece potrebbe farsi valere sul fonte commerciale, dato che l’Europa è il primo partner economico».

Erdogan ha un’arma in più di quello che ci si aspetta: «In questo momento il confine tra Idlib e la Turchia è sigillato – spiega  il ricercatore dell’Ispi – se venisse aperto potremmo avere un’ondata di migranti simile a quella del 2015» . Infatti, nonostante il dramma umanitario che si sta verificando al confine turco-greco, i flussi migratoti sono abbastanza contenuti. «Le condizioni sono cambiate rispetto a cinque anni fa, la porte dell’Europa sono chiuse e molti migranti ormai si sono stabilizzati in Turchia ed è difficile che ora decidano di rimettersi in cammino verso il continente». Solo la decisioni di aprire il confine con la Siria potrebbe veramente ingigantire i flussi migratori mettendo in crisi l’Europa. Una scelta che però in questo momento non è contemplata da Erdogan, per un motivo ben preciso: «se aprisse il confine con Idlib potrebbe veramente mettere in crisi il rapporto con l’Europa», di cui la Turchia necessita sia al livello politico che economico. Il pugno duro dell’Europa potrebbe mettere in crisi la strategia di Erdogan: «se la rotta balcanica rimanesse chiusa, in Turchia si riverserebbero un milione di profughi in fuga da Idlib».

Una prospettiva che non farebbe altro che indebolire il Presidente turco sul fronte interno, perché «se all’inizio i turchi vedevano di buon occhio i profughi, ora c’è una situazione simile a quella che  in Europa. La Turchia ha accolto 3 milioni e mezzo di profughi provocando l’intolleranza della popolazione». Un problema politico che il governo sta cercando di risolvere attraverso la creazione delle cosiddette zone-cuscinetto: «pezzi di territorio siriano confinanti con la Turchia, in cui poter ricollocare una buona fetta dei 3,5 milioni di profughi presenti in Turchia». Continuando con il pugno di ferro, la Grecia violerebbe la convenzioni internazionali che vietano il respingimento rifugiati. «Se l’Europa adottasse un approccio razionale ricollocando i rifugiati su tutto il territorio europeo, non sarebbe soggetta al ricatto di Erdogan».