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Esclusiva

Marzo 8 2020
Essere del Nordest ai tempi del Covid-19

Nell’esasperazione collettiva anche un semplice dato anagrafico letto di sfuggita e privo di contesto può diventare motivo di allarme

Roma. Guardia medica. Accettazione. L’uomo dietro al bancone, dopo aver sentito le richieste fatte con un accento non proprio romano: «Di che zona ha detto che è lei?» «Treviso». Panico. L’intera sala d’aspetto che si zittisce all’istante. Tutti, infermieri, dottori e pazienti in attesa di capire di più dopo la pronuncia di quella fatidica parolina. Un signore sulla settantina che aggiunge, facendo un passo di lato: «no, prego prego, che questo qui è più grave». In quel momento dagli sguardi che hai addosso inizi a capire che forse hai detto qualcosa che non va. Già, ma cosa? 

Ancora rintontito, dopo qualche secondo però ci arrivi: e allora capisci che forse è il caso di puntualizzare. «No ma comunque non ci torno da più di due mesi a casa eh!». Non importa, ormai non conta più nulla. Nessuno sembra più avere orecchie per sentire. Arriva un infermiere, poi un’altra, ti parlano dalla ragionevole distanza di circa due metri: «ehm, si dovrebbe mettere questa». Uno ti allunga una mascherina nuova fiammante color verde acqua. «Ma io..». «È il protocollo. E si dovrebbe anche sedere lì in fondo» Indicando l’angolo più lontano possibile all’interno della grande sala.

Mentre vi guardano come degli appestati e i minuti non passano come quando state a fissare l’acqua nell’attesa che bolla non potete non soffermarvi a ragionare sulla vostra condizione. Per esempio la febbre. Non è che ci sia un momento opportuno per farsela venire, ma certo alcuni sono meno opportuni di altri. Questo ad esempio non è un momento opportuno.  

Metti che una mattina di marzo del 2020 ti svegli, a Roma, e senti la testa pesante. Ti senti debole, fatichi a reggerti in piedi. Di solito magari non sei uno che si preoccupa, ma di questi tempi, “non si sa mai”, la cosa più logica forse sarebbe farsi visitare. Ma metti poi che sulla tua tessera sanitaria sia indicato come luogo di nascita un paesino della provincia veneta. Beh, diciamo che hai un problema. 

Il divagare ad occhi aperti si interrompe bruscamente. «Venga, la dottoressa ora la può ricevere». La suddetta dottoressa, già armata di mascherina, vi scruta con sguardo attento, come se fissandovi in maniera più decisa potesse valutare tutte le vostre condizioni pregresse e prevedere tutti vostri futuri movimenti. Vi sforzate di ripetere il mantra: «No comunque dicevo che sì sono veneto, ma non torno a casa da più di due mesi». Si chiude la porta dietro le spalle. Questa volta sembra funzionare. «Ahh» Sospiro di sollievo. «Eh no, infatti avevo visto il terrore sulle vostre facce». «No più che terrore è che sa dobbiamo avviare tutto il protocollo sa». «Comunque no dicevo che non ci vado da 2 mesi circa a casa». «Eh, e veda di non andarci per un bel po’!»